L'infanzia in caserma, i corsi per lanciare granate, la fatica di un provino, il privilegio di essere donna…e ora un nuovo film: "3/19" con Silvio Soldini. Nella nuova puntata del ciclo di interviste dedicate ai protagonisti dello spettacolo, l’attrice si racconta al vicedirettore Omar Schillaci
È Kasia Smutniak la protagonista della nuova puntata di “Stories”, il ciclo di interviste ai principali interpreti dello spettacolo di Sky TG24 (IL PODCAST). Ospite del vicedirettore della testata Omar Schillaci, l’attrice polacca si racconta in “Kasia Smutniak – Revolutionary Road”, in onda su Sky TG24 e su Sky Arte e sempre disponibile On Demand. Con la regia di Francesco Venuto, l’intervista è un susseguirsi di riflessioni e aneddoti della vita professionale (“andare sul set, essere immersi nel mondo” di Paolo Sorrentino “era come stare in un sogno, e quindi imprevedibile, magico. Una cosa che ti fa estremamente paura”, ma al contempo “di tale bellezza e potenza che ti senti vivo. Soprattutto hai questa percezione di far parte di un’opera d’arte”) e privata (“non sono una mamma severa. Ho un bellissimo rapporto con i miei figli, cerco di trasmettere loro la libertà di pensiero. Combatto molto per fargli vedere il mondo, che non sia solo questo nel quale viviamo: il mondo non è fatto unicamente da persone che hanno delle libertà solo perché sono nate in un posto fortunato”) di una delle artiste più amate ed apprezzate del panorama cinematografico italiano.
Dall' 11 novembre l'attrice è al cinema con ‘3/19’, film distribuito da Vision Distribution. Il titolo, letteralmente un numero, a significare “la terza morte anonima dall’inizio 2019” e che si riferisce a quelle morti a cui non si riesce a dare un’identità, e una storia che racconta di Camilla (Kasia Smutniak), una donna tutta d’un pezzo, avvocato d’affari nota nel suo ambito professionale per le molte cause concluse con successo e nella cui vita interviene un evento dirompente: “lei è vittima di un incidente, anche se non lo provoca, che apparentemente potrebbe sembrare un episodio spiacevole della sua vita perché si rompe semplicemente un polso, ma a causa del quale muore un giovane ragazzo immigrato che non ha con sé i documenti”. Un incidente, appunto, a dimostrazione di tutte quelle volte che, nella propria esistenza, si apre una piccola crepa che però fa venire giù tutto, un momento preciso che “divide tra il prima e il dopo, è un attimo, e mi ha sempre affascinato. E’ incredibile quanto non debba essere necessariamente legato a una cosa spiacevole, perché se si pensa a quando ci si innamora la nostra vita si divide tra un prima e un dopo. Ma così succede anche quando incontri la morte. E’ strano, è estremamente affascinante pensare che questi due concetti così lontani abbiano qualcosa in comune”.
I migranti, e gli attuali scontri al confine tra la Polonia e la Bielorussia con un alto numero di persone che cerca di transitare verso l’Europa Occidentale. E ancora i diritti delle donne, in particolare quello all’aborto che ancora, come nel Paese d’origine di Kasia Smutniak, non è garantito ovunque. Sono tutti temi che hanno portato l’intervista a parlare di cosa voglia dire essere militante, metterci la faccia o quanto sia importante farlo: “per me è diventato molto importante, mi definisce. Ho imparato anche che non solo è necessario, perché questa possibilità di arrivare, grazie alla popolarità, ad essere ascoltati porta con sé delle conseguenze, ma può essere anche usata in una maniera positiva, per portare avanti un messaggio. Qua c’è un discorso social-politico, di denuncia. Fare un post, andare davanti a un ministero a manifestare il proprio dissenso non è scendere in piazza. Ognuno fa quello che può, ed io mi sono sentita estremamente coinvolta non solo per il fatto che sono polacca ma perché è evidente che sta cambiando anche la nostra percezione di essere coinvolti da quello che sta succedendo”. “Mi sono sentita di essere scesa in piazza, in prima persona a fare le cose con le mie mani, la mia testa e il mio cuore, quando ho deciso di fare una fondazione, costruire una scuola in Nepal: quello è scendere in piazza, quello è andare a fare una cosa pratica. La fondazione si chiama ‘Pietro Taricone Onlus’, sono emotivamente coinvolta ma ho oggi dei risultati precisi, ho i ragazzi e le famiglie, con la scuola che ha già cambiato le loro vite: azione e reazione, e quindi questo ha, appunto, anche delle conseguenze”.
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Nata in una famiglia militare, Kasia Smutniak è “cresciuta nelle caserme, seguivamo sempre mio padre da una caserma all’altra. Con gli amici giocavo dentro un poligono, dentro vecchie macchine che erano dei target per gli aerei che ci sorvolavano, o dentro vecchi elicotteri, e andavo a scuola in un piccolo paesino cresciuto intorno ad una caserma, dunque con delle regole ben precise”. Figlia di un pilota e generale dell'aeronautica polacca, il volo è sempre stato un elemento ben presente nella vita dell’attrice: “sono un pilota, lo sono stata fin da piccola. A 16 anni ho preso il brevetto per gli alianti, e qualche anno fa per gli aerei”, anche se è un’altra la componente distintiva che ha accompagnato la sua vita. Kasia, a proposito, ha raccontato quanto le sia sempre piaciuto migliorarsi, studiare, infatti “se potessi, ed avessi tempo a disposizione, farei corsi di qualsiasi cosa: mi servirebbe, ma a tutti servirebbe, un corso di idraulica. A scuola, alla mia epoca, avevamo un soggetto che si chiamava tecnica, e studiavamo, letteralmente, come si cucina, cuce un vestito, cambia la lampadina, come si indossa una mascherina antigas, e i vari tipi di gas se fosse successo qualcosa, o come si lancia una granata. Tutte cose che mi sono servite nella vita”, e non si fa fatica a crederle.
In un mondo, in sistemi dove le regole del gioco sono sempre state create e imposte da maschi, eterosessuali, e tendenzialmente di razza caucasica, Kasia Smutniak non si è mai detta ‘se rinasco, rinasco maschio’, quanto, più volte, “che sarebbe stato più facile”. Un mondo che, ha sottolineato l’attrice, è sempre “stato raccontato dagli uomini, dagli storici, basandosi tutti sugli stessi temi come la forza, la conquista del territorio, i soldi, il potere, mentre la storia delle donne non la conosciamo”, anche se queste ultime, al contrario del genere maschile, hanno fatto “tante rivoluzioni, abbiamo avuto tante conquiste, che hanno vari nomi e con le quali possiamo identificarci. Siamo sempre lì, ad analizzarci e a migliorarci. Non dobbiamo mai smettere di chiedere di più”. Rivoluzioni e conquiste che hanno spesso avuto come protagonista il corpo femminile, che è sempre stato, secondo Kasia, “un campo di battaglia. Penso perché è estremamente potente, e quindi temuto”.
La chiusura dell’intervista è riservata al capitolo ‘provini’, parte che l’attrice dice di “amare meno”. Dove ha più difficoltà, dove si sente “più esposta, perché dare sé stessi sul set, quindi mettersi in una condizione in cui ci si deve collegare con le proprie emozioni, è un altro discorso. Il set è un luogo sacro, dove ognuno pensa al proprio lavoro, guarda alla sua parte, e il regista guarda se tutto il resto è utilizzabile. Nessuno sta veramente lì a giudicarti, mentre il provino è il giudizio diretto. E’ terribile, non li voglio fare”.