Si è chiusa a Milano la settimana della moda maschile, rigorosamente via streaming. In passerella una moda influenzata dall'esperienza della pandemia, ma soprattutto tanto ottimismo
Oltre 10 milioni di visualizzazioni per sfilate, presentazioni ed eventi che, in una situazione di estrema difficoltà, hanno comunque mostrato al mondo la moda italiana.
A fare un bilancio della kermesse è Carlo Capasa, Presidente di Camera Nazionale della Moda Italiana. Ed è un bilancio tutto sommato positivo, perché grazie al digitale anche all’estero si è potuto partecipare in diretta via streaming a questo importante appuntamento. Come abbiamo avuto modo di vedere dalle presentazioni dei vari brand, il digitale non è stato solo un semplice ripiego a cui accorrere per l’impossibilità di sfilare in presenza. Al contrario ha dimostrato di essere un mezzo potentissimo per raggiungere un’audience molto vasta e per raccontare la moda come emozione, come una vera e propria finestra sul mondo.
“Stiamo imparando sempre di più ad usare il digitale", ci spiega in un'intervista Carlo Capasa, "e in questa stagione ne abbiamo anche fatto un uso differente, più legato all'arte e alle emozioni. Ovviamente il ‘touch and feel’ è diverso, noi speriamo di poter tornare presto a toccare quello che facciamo, ma stiamo rispondendo come sempre in Italia con grande voglia di trovare delle soluzioni. E le stiamo trovando”.
Collezioni influenzate dall’esperienza della pandemia
In passerella una moda che inevitabilmente si è scontrata con la nuova vita a cui ci ha costretti la pandemia.
Collezioni, come quella disegnata da Alessandro Sartori per Ermenegildo Zegna, nate da una riflessione sul momento che stiamo vivendo e dall’esigenza dell’essere umano di adattarsi. La sartorialità del brand si sposa con lo sportwear, con un modo di vivere più disinvolto, dove l’indoor - lo stare a casa - e l’outdoor - le passeggiate nella natura - si fondono insieme.
L’eleganza, come da Tod’s, è sempre disinvolta, come fosse un’eleganza interiore. Gusto sartoriale ma spirito rilassato. E l’artigianalità diventa la massima espressione di stile. Perché tra le novità portate dal Covid c’è anche la nascita di un consumatore più attento, più consapevole, alla ricerca quindi di beni più duraturi.
Capi funzionali anche se classici da Fendi, dove le giacche e i cappotti diventano completamente reversibili, i pantaloni sono di maglia, i bermuda trapuntati. Zaini come minitrolley, baguette squadrate e borse a mano come packaging richiamano il viaggio. Quei viaggi che ci auguriamo presto di poter ritornare a fare.
Moda espressione del presente anche da Prada. La collezione disegnata da Miuccia Prada e Raf Simons nasce infatti da un desiderio intimo e personale di contatto, dal nostro bisogno di scambio e relazione.
Se dobbiamo trovare una parola chiave per descrivere questa fashion week questa parola è “comfort”, mentre protagonista indiscussa è la maglieria.
E poi tanta innovazione, come da K-Way, al suo debutto con una collezione estremamente varia.
Ma a regnare sulle passerelle milanesi è stato soprattutto l’ottimismo.
Del resto i capi presentati saranno quelli da indossare nel prossimo autunno-inverno quando ci auguriamo si possa tornare a incontrarci, ad andare al cinema o a teatro, a lavorare in presenza, a viaggiare.
2021, nella peggiore delle ipotesi ci sarà comunque una crescita
Se il 2021 è iniziato peggio del 2020 è anche vero che non potrà che finire meglio. Le stime di Camera Nazionale della Moda parlano infatti di una crescita rispetto all’anno appena trascorso.
“Rispetto al 2020, che è stato l’anno horribilis in cui abbiamo perso complessivamente intorno al 27%, se si considera la moda come industria allargata di abbigliamento, accessori e gioielli l’anno prossimo non possiamo che fare meglio, si stima tra il +6 e il +15%. Una forbice che dipende ovviamente dall’andamento della pandemia. E’ un dato positivo ma ben lontano dai dati del 2019. Per recuperare quei numeri dovremo aspettare il 2022 e forse anche il 2023”.
E alla domanda su cosa si potrebbe fare per supportare questo settore, Capasa risponde: “Molte cose. Il settore moda in Italia è visto come il settore del voluttuario e non si capisce che più di un milione/un milione e duecentomila persone ci lavorano, tra industria e commercio. Viene fatto molto poco perché le misure prese per l’industria in generale molto spesso non si adattano alla moda, che è fatta di piccolissime industrie quasi sempre artigiane che lavorano con le grandi industrie dei grandi brand. Ecco, quasi sempre i troppo piccoli e i troppo grandi sono tagliati fuori da tutte le misure. Secondo me si può fare molto meglio, ma dobbiamo iniziare a pensare che la moda è un settore strategico per il nostro paese, un’industria strategica. Solo così, facendo delle misure ad hoc, possiamo cercare di salvare la seconda industria del paese, la prima industria nel mondo dell’alta qualità: la moda italiana”.
Ora il testimone passa a Parigi dove è già cominciata la settimana della moda maschile. Anche lì tutta in digitale.