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Quirinale, la corsa al Colle deve ancora iniziare

Politica

di Massimo Leoni

Nonostante le scosse di aggiustamento all’interno delle forze politiche non si può ancora definire la lista dei favoriti alla Presidenza della Repubblica

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Chiamale se vuoi emozioni. O scosse d’assestamento. O il tentativo di moltiplicare gli obiettivi, in un gioco di specchi che renda difficile colpire e affondare l’unico reale predestinato. Bisogna trovare un Virgilio per orientarsi nell’inferno della corsa al Quirinale. In questo momento, preferibilmente, di centro destra. Il nostro premette: siamo all’inizio. Anzi, non siamo ancora partiti. Tutto è scarsamente leggibile se l’intento è quello di capire chi sarà il prossimo inquilino del colle. E' la gara più imprevedibile di tutte, sempre. E oggi a maggior ragione. Perchè si intreccia con le sorti del governo in carica e del suo presidente del consiglio. Perchè parlare oggi di un candidato o di un altro significa spesso parlare delle sorti o dei progetti politici personali o di quelle del partito di appartenenza. Prendi Giorgetti per esempio. Ha parlato chiaro, apparentemente. Sia del candidato alla presidenza – per lui è Draghi, addirittura preconizzando una sorta di semipresidenzialismo per non privare completamente il paese della sua capacità di governo. Sia della Lega, a metà di un passaggio – europeismo o no, sovranisti o popolari – che è rimasto incompiuto per responsabilità di Salvini, suo segretario. Giorgetti vuole fare il segretario della Lega? Pensiero ingenuo, secondo la nostra guida. Il centro destra è saldo – le tentazioni di un terzo polo sembrano rientrate - e saldamente in mano a Berlusconi, Meloni e Salvini. E continuerà ad esserlo. Più probabile che Giorgetti – che parla raramente e mai a caso - voglia fare – o magari anche solo scegliere - il secondo semi presidente. Un leghista di governo, magari un governatore. Già, ma quando? Prima o dopo le elezioni? E quando ci saranno le elezioni? Altro mistero. Una volontà precipitosa sbaglia, ammonisce la guida, è presto. E però domani c’è il consiglio federale della lega, convocato in tutta fretta dal suo segretario. Salvini parlerà, sceglierà tono e conseguenze. Interessante contraddizione: il Carroccio è spaccato ma non si divide. Non può, non vuole. Solo emozioni, scosse d’assestamento. È presto.