L'ex ministro dell'Interno ha scritto un libro che sembra un programma per il Pd che verrà. Ma non sa ancora se vuole diventare segretario. Vero o falso?
Si candida? Non si candida? Se sì, perché? E se no, perché? Marco Minniti è sicuramente uomo capace di scegliere e tempo ne ha avuto. Quindi è difficile credergli quando dice che non ha ancora deciso se correre per la segreteria del Pd. Cosa deve succedere ancora per orientare la scelta? Quale segnale aspetta l’ex ministro dell’Interno? Sembra sia successo già tutto.
I renziani lo hanno eletto loro candidato ante litteram, da tempo. E forse è questo il rapporto da regolare. Chiaro che quello dei renziani è ancora un bel bacino di voti. Alle primarie e, se non dovessero essere decisive, al congresso. Minniti va alla Leopolda, Minniti andrà – lo danno per certo – alla riunione dei renziani a Salsomaggiore. Ma non voler rischiare nessun abbraccio mortale. Per questo ripete sempre che “ci sono solo alcuni amici, alcuni sindaci che mi hanno chiesto di impegnarmi”. Vuole evitare a tutti i costi di essere un candidato di bandiera. Non vuole essere l’uomo dei renziani, tantomeno l’uomo di Renzi. E’ possibile? Forse è questo il nodo che deve ancora sciogliere. Se è vero che le visioni del mondo possono essere simili – una sorta di realismo etico, equo e solidale, tendenzialmente di sinistra (?) – su altro i due sono profondamenti diversi. Per esempio l’età. Nel libro di Minniti – Sicurezza e libertà, che potrebbe essere un manifesto della sua segreteria - c’è un passaggio molto raffinato, proprio su Renzi. L’ex ministro racconta di una riunione al Viminale con una delegazione delle varie tribù – Suleyman, Tebu e Tuareg - che comandano intorno alla frontiera sud del territorio libico. Nel gruppo c’è un interlocutore dall’aria autorevole, al quale il ministro si rivolge per avere anche la sua opinione. Non riuscirà ad averla, gli spiegano, perché quell’uomo è troppo giovane, ha poco più di 40 anni. E non è il caso che parli in riunioni di così alto livello. Minniti scrive: “Il mio pensiero andò immediatamente all’Italia. Avevamo avuto un primo ministro, Renzi, autorevole ma non ancora quarantenne”. Ecco.
Poi, Minniti dice che non si candiderà se la sua proposta alimenterà altri personalismi, di cui il Pd – secondo lui - proprio non ha bisogno. Ancora, c’è la questione Martina. Nei pensieri – ma anche nelle dichiarazioni - dell’ex ministro dell’Interno le primarie dovrebbero essere risolutive, il nuovo segretario deve avere un’investitura popolare importante. Se c’è Martina, il gioco di palazzo si farà quasi sicuramente al congresso invece che al gazebo.Il voto popolare può decidere più facilmente se la partita è solo con Zingaretti. Quindi magari è la scelta di Martina che Marco aspetta per decidere.
C’è un vantaggio che Minniti potrebbe avere ai gazebo. Molti elettori o simpatizzanti del Pd penseranno che alla guida del partito, in questo frangente, serve il migliore anti Salvini sulla piazza. E molti penseranno che sia l’esperto Marco, ex ministro dell’Interno.
Consigli per l’ascolto: “Tea in the Sahara”, the Police