Lo hanno spiegato gli avvocati di Bossetti che chiedono comunque di poter esaminare tutti gli altri reperti
La traccia 31 G20, la 'prova regina' nel processo (LE TAPPE) che portò alla condanna di Massimo Bossetti per l'omicidio della 13enne Yara Gambirasio, "è forse l'unica traccia che è effettivamente esaurita, stando alle dichiarazioni dei consulenti di allora". Lo hanno spiegato gli avvocati di Bossetti in un'udienza a porte chiuse davanti ai giudici della Corte d'assise di Bergamo. I legali chiedono di poter esaminare tutti gli altri reperti in vista di una eventuale richiesta di revisione della sentenza che condannò Bossetti in via definitiva all'ergastolo. Reperti che la Procura avrebbe definito "scartini" in quanto - hanno riferito i legali, parlando anche di un "confronto acceso" in aula - "di secondaria o nulla importanza" rispetto alla traccia 31 G20, con il Dna trovato sui leggins della vittima. I giudici della Corte d'Assise di Bergamo si sono riservati di decidere sulla richiesta.
L'omicidio
Yara Gambirasio era scomparsa da Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo il 26 novembre del 2010. Venne trovata senza vita in un campo a Chignolo d'Isola, ad alcuni chilometri di distanza, tre mesi dopo. Fu solo nel giugno del 2014 che venne individuato Massimo Bossetti, muratore di Mapello, paese del circondario, come possibile autore del delitto dopo che per anni, in gran parte della provincia di Bergamo, fu prelevato il Dna a migliaia di persone. Bossetti fu condannato all'ergastolo e la sentenza fu confermata dalla Cassazione. Da tempo i suoi avvocati stanno lavorando in vista di una richiesta di revisione della sentenza e, in questo senso, chiedono di aver accesso ai reperti e hanno anche messo in dubbio che i campioni di Dna siano stati conservati correttamente.
L'udienza
Durante l'udienza 'fiume', durata tre ore pur essendo un appuntamento squisitamente tecnico, i magistrati avrebbero stigmatizzato il comportamento processuale della difesa che avrebbe in sostanza più volte, negli anni, accusato la Procura di scorrettezze. I legali non hanno voluto commentare una denuncia che sarebbe stata presentata a Venezia, competente a indagare sui magistrati della Corte d'appello di Brescia, quindi anche su quelli bergamaschi, proprio riguardo la conservazione dei reperti che sono stati confiscati e portati dall'ospedale San Raffaele all'ufficio corpi di reato della città orobica . "Non lo sappiamo e non fa parte di questo processo", si sono limitati a dire, mentre la Procura in aula avrebbe sottolineato come i dubbi sulla conservazione siano stati sollevati poco dopo il trasferimento dei reperti a Bergamo dall'ospedale milanese, dove erano stati per anni.