In "Cosa è successo al Cavaliere Oscuro?" la versione dell'uomo pipistrello firmata dal grande autore inglese. Una storia onirica di morte e rinascita che parla del destino degli eroi a fumetti e della loro essenza
Se pensate che l’eterno ritorno non sia altro che un batarang, “Cos’è successo al Cavaliere Oscuro?” fa per voi. Edito da Panini (cartonato, 18 euro), il volume contiene la storia del titolo più due di appendice firmato da un mostro sacro del fumetto come Neil Gaiman che nel raccontarci il finale della vita di Batman ce ne regala anche il principio, con una doppia lettura che rende conto della ciclicità seriale degli eroi a disegni e la interpreta come una metempsicosi ineluttabile.
Un to ti en einai spiegato a fumetti (tradotto un po’ liberamente “quel che era è”, l’essenza insomma) che racconta come anche sul punto di morte, anzi di pre morte, l’Uomo Pistrello resti il detective più grande del mondo e l’uomo più fragile della terra. “Sai qual è l’unica ricompensa che riceverai per essere stato Batman? Sarai Batman”, gli dice la madre che fa da accompagnatrice all’eroe sulle sponde in procinto di varcare le sponde del suo ultimo viaggio. Un viaggio che inizia con una veglia funebre che si caratterizza subito per i tratti onirici cari allo scrittore inglese e si materializza grazie alle matite di un Andy Kubert che si adatta alle tante versioni assunte dal protettore di Gotham nella sua lunghissima vita editoriale.
E al suo fianco, anzi, accanto al suo feretro lentamente sfilano gli amici e gli avversari incontrati lungo la sua crociata. Dal fedele domestico Alfred alla storica nemesi del Joker, ognuno ne racconta un pezzo di vita, ognuno un finale diverso, eppure uguale. La prima a intonare l’elegia è Selina Kyle, Catwoman, l’unica che nel corso del racconto prova a cambiarne il destino ma che alla fine lo uccide per amore e glielo spiega mentre agonizzante gli chiede aiuto come “Sei venuto qui perché mi ami. E io ti lascerò morire perché ti amo”. La donna fatale, topos noto in letteratura, dalla poesia latina a quella trobadorica, fredda e crudele che si ravvede solo quando ormai è troppo tardi (“è sempre stato troppo tardi”, il suo commiato).
Ma la figura che giganteggia nell’opera di Gaiman, è quella della Madre, Caronte gentile che si materializza in due tavole, che fanno salire in gola il cuore del lettore, e scendere una lacrima dai suoi occhi. Non rappresenta la morte, ma colei che sconfigge la morte del figlio, che gliela dona nuovamente preconizzandogli un nuovo futuro mentre gli illustra il freddo presente e gli ricorda il dolce passato, prima di dargli la buonanotte. E un certo William Shakespeare, guarda caso un altro inglese come Gaiman, scriveva: “Siamo fatti della materia dei sogni; e la nostra breve vita è racchiusa nello spazio e nel tempo di un sogno”. Batman è morto, lunga vita - non solo editoriale - a Batman.