In Evidenza
Altre sezioni
altro

Per continuare la fruizione del contenuto ruota il dispositivo in posizione verticale

Le pensioni di domani tra denatalità e bassa occupazione

Economia

Giorgio Rizza

In Italia diminuiscono i giovani e aumentano gli anziani, mentre il sistema del welfare che si occupa di quasi 60 milioni di abitanti, si regge sul lavoro di solo 23 milioni di occupati. Due elementi che rischiano nei prossimi anni di aumentare gli squilibri del nostro sistema pensionistico.

Condividi:

Il cantiere pensioni è di nuovo aperto con il confronto tra governo e sindacati al Ministero del Lavoro, al centro ancora le due questioni che da anni attendono soluzioni di lungo periodo: il futuro previdenziale dei giovani e la flessibilità in uscita degli anziani. Sono i due poli opposti di un sistema come il nostro, dove gli assegni di chi si è messo a riposo sono garantiti dai contributi versati dagli attuali lavoratori. Ma in una società che vive un lungo inverno di denatalità, con sempre meno giovani, chi pagherà le pensioni nei decenni a venire?

Gli squilibri del sistema pensionistico

Al di là di soluzioni temporanee come è stata Quota 100 e sarà Quota 102, questa è la vera domanda a cui si dovrebbe cominciare a rispondere, partendo da due elementi di fondo. Il primo è lo squilibrio demografico. Se oggi gli over 65enni rappresentano il 23,2% del totale della popolazione, nel 2050 arriveranno al 35% dice l’Istat. E sempre per quell’anno il rapporto tra giovani e anziani sarà di 1 a 3.

L’Italia è un Paese che invecchia

La progressiva senescenza italiana comincerà a pesare sulla fascia in età lavorativa che scenderà in 30 anni dal 63,8% al 53,3% del totale. Diminuirà insomma la classe produttiva del Paese che sostiene il welfare con le sue tasse e i contributi, mentre al contrario aumenterà chi avrà più bisogno di spesa assistenziale soprattutto sanitaria e della pensione ogni mese. La società, ha ricordato il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, sta perdendo il contributo dei giovani: quelli entro i 29 anni erano il 51,6% nel 1951, oggi sono scesi a circa il 28%. Le nuove generazioni ottanta anni fa risollevarono e ricostruirono il Paese dalle macerie della guerra, ora rischiano di non avere i numeri per finanziare un adeguato sistema sociale.

Troppo basso il tasso di occupazione

Il secondo punto è che il tasso di occupazione sul totale degli attivi è in Italia ancora sempre basso. Nel III trimestre del 2021 secondo l’Istituto nazionale di statistica, era al 58,4%, lontano oltre 10 punti dalla media europea, peggio di noi solo la Grecia. Come ricorda l’analisi del Centro Studi Itinerari Previdenziali, su 37 milioni in età da lavoro, quelli occupati veramente sono solo 23, mentre un Paese simile per numero di abitanti come la Francia ne ha 34. Insomma, le persone che lavorano da noi sono troppo poche, considerando anche che ben 3,5 milioni, calcolano le stime Inps, lo fanno in nero sfuggendo a fisco e previdenza.

Per garantire pensioni, creare lavoro

In conclusione, volendo correggere per quanto possibile questi squilibri, la soluzione sembra essere obbligata: se le pensioni si pagano con il lavoro, è il lavoro che si deve creare con investimenti pubblici e privati. Si ragiona su una pensione di garanzia per i giovani, ma la migliore garanzia per il domani è una occupazione stabile e duratura. Anche su questo il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza potrà dare il suo importante contributo.