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Fondi disabilità, perché non sono più sufficienti per tutte le Regioni

Cronaca

Beatrice Barbato

©Getty

Sono circa 2 milioni e 300 mila le famiglie italiane nelle quali vive almeno una persona con disabilità. Molte di loro sono costrette a richiedere servizi a pagamento, in assenza di un’offerta assistenziale adeguata sul territorio, parliamo di infermieri e personale formato. Ma i fondi stanziati, non bastano a garantire a tutti i sussidi e a, allo stesso tempo, a implementare i servizi. In questo approfondimento, cerchiamo di fare chiarezza sulle misure adottate dalle regioni

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Da quattro anni lo Stato sta stanziando centinaia di milioni di euro aggiuntivi per le politiche in favore della disabilità, ma con grande difficoltà di spesa. I decreti – necessari per la legge delega in materia di disabilità– ci sono tutti e dal 2025 le linee guida cambieranno.

 

Al momento è il Piano Nazionale per la Non Autosufficienza 2022-2024 del governo Draghi a fornire le indicazioni da seguire. L’obiettivo è quello di individuare gli interventi per la graduale attuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali, da garantire su tutto il territorio nazionale. Sono poi le regioni a dover valutare la propria situazione finanziaria e la disponibilità di risorse per determinare quanto destinare ai sussidi e quanto all'implementazione dei servizi.

 

I fondi previsti dal Piano, però, sebbene siano superiori rispetto a quelli stanziati in precedenza, non sono sufficienti a coprire entrambe le spese. 

La situazione in Lombardia

Se per molti enti che hanno da sempre puntato sui servizi, è stato più semplice riuscire a far quadrare i conti, per altri si è rivelato più complesso, come è accaduto per la Lombardia, che percepisce per i tre anni la quota più corposa del piano: oltre 388 milioni complessivi – che arrivano a quasi 415 milioni con le risorse per i progetti di Vita Indipendente e per le assunzioni di personale. Dopo una lunga gestazione e numerose modifiche, la Regione ha provveduto a una riorganizzazione dei fondi per persone con disabilità.

 

“È la norma nazionale che ci impone di sottostare ad alcuni criteri – spiega a Sky tg24 Elena Lucchini, Assessore alla Famiglia, Solidarietà sociale, Disabilità e Pari Opportunità della Regione Lombardia –  questa norma nazionale dice che dal 2023 e gradualmente negli anni a venire una quota di alcuni dei contributi che vengono dati alle persone con disabilità dovrà essere data sotto forma di servizi, quindi noi ci dobbiamo attenere rispetto alla legge dello Stato”.

 

A partire dal mese di giugno, in Lombardia – data entro la quale questi servizi dovrebbero essere implementati – riceveranno meno soldi, mensilmente, tre categorie di persone, assistite soltanto da caregiver familiari.

Cosa cambierà in Lombardia

 

“Ottantacinque euro mensili da giugno fino a dicembre, parliamo di un totale di 595€,  verranno restituiti a fronte della presentazione di fatture – aggiunge l’ass. Lucchini – La persona deve attestare di aver usufruito di quel servizio e verrà rimborsata a fine anno, quindi la riduzione si riduce, perdonate il gioco di parole, a 65€ mensili, che non andranno persi, ma saranno destinati sempre alla stessa persona, sotto forma di servizi”.

 

Sarà ridotto in Lombardia il buono sociale mensile per i caregiver, che passerà da un massimo di 400 a 100 euro mensili. In questo caso, potranno essere i comuni ad aumentare eventualmente la cifra o implementarla con servizi. Comuni che, però, in tutto il Paese devono gestire non poche difficoltà, a partire proprio dalla mancanza di personale.

 

“Noi possiamo potenziare i servizi all'infinito, ma ci sono delle situazioni di tale gravità che non ci sarà mai un servizio che copra al 100% i bisogni di bambini così gravi – chiarisce a Sky tg24 Lisa Noja, Consigliera della Regione Lombardia – E i caregiver sono appunto mamme che ci sono sempre, che spesso rinunciano al loro lavoro e che vivono in una situazione di assistenza 24 ore su 24. I fondi per le famiglie servono per avere quel minimo di sostegno che consenta, per esempio, di avere delle pause da questa situazione, di avere un aiuto per delle terapie che altrimenti non riuscirebbero ad avere. Io so di persone, anche giovani, che per alzarsi hanno bisogno di aiuto, che magari devono rimanere nel letto fino alle dieci di mattina, perché la cooperativa prima di quell'orario non è in grado di mandare nessuno ad aiutarle. Immaginate un ragazzo che ha l’aspirazione di andare all'università e che non può frequentarla perché prima delle 10 non ha nessuno che lo tiri su dal letto”.

 

Un altro timore di famiglie, associazioni e persone con disabilità – scese in piazza in Lombardia per protestare – riguarda la creazione, per la prima volta, di liste d’attesa per le nuove domande.

 

“Questa è una cosa che per le associazioni e per le famiglie è gravissima, perché vuol dire creare una discriminazione a parità di gravità – spiega la dott.ssa Noja –  Semplicemente, perché il destino ha voluto che una persona fosse già presa in carico l'anno scorso e un’altra, invece, manifesta questo bisogno per la prima volta”.

 

“Le liste d'attesa non sono una certezza, ma sono un'ipotesi che abbiamo comunque voluto prendere in considerazione per prepararci a scopo preventivo, a scopo di responsabilità – risponde la dott.ssa Lucchini – Abbiamo inserito un meccanismo, quindi, in questa delibera che prende in considerazione alcuni criteri. Tra questi anche le fasce di età, quindi giovani, adulti, anziani, nonché il reddito. Non sappiamo i flussi che avremo nel corso dell'anno, non sappiamo quante domande di disabilità gravissima potranno arrivare, ma abbiamo responsabilmente ritenuto di doverci preparare anche a questa eventualità”.

 

“Potenziare i servizi è fondamentale ma non può andare a scapito di assegni e contributi economici che sono già molto ridotti – è l’appello di Lisa Noja – È un processo lungo e io penso che sarebbe giusto pianificarlo per step, in modo anche realistico. Forse il Piano Nazionale si era dato degli obiettivi un po’ irrealistici, considerando la situazione in cui ci troviamo. Tra l'altro stiamo parlando della Lombardia, che, comunque, ha una strutturazione di servizi. Ma immaginate cosa può accadere in una regione in cui oggi non c'è nulla. Come si può pensare che in pochi mesi si metta insieme quello che non è stato fatto per anni”.

E le altre regioni?

 

Ogni regione ha esigenze e modalità di erogazione differenti, ma per tutti gli enti con cui abbiamo parlato i fondi stanziati non sufficienti, come per la Regione Siciliana che destina ulteriori somme per persone con disabilità gravissima per cercare di rispondere a tutte le richieste. Sicilia che di recente ha presentato la proposta di programmazione delle risorse del Fondo nazionale per le non autosufficienze per l’annualità 2022.

 

In Campania, per riuscire a coprire tutta la platea interessata, occorrerebbero altri 50 milioni di euro, in aggiunta ai 72,5 milioni previsti per il 2024, il 32% dei quali è destinato ai servizi e il 68% ad assegni di cura e voucher.

 

“Le Regioni hanno dovuto perseguire il duplice obiettivo di dare continuità alle prestazioni economiche finanziate con il precedente Piano 2019-2021 e al tempo stesso incrementare i servizi a sostegno della domiciliarità. In Emilia-Romagna – ha spiegato la Regione a Sky tg24 – fino a oggi ci siamo riusciti, perché da più di 20 anni abbiamo un sistema che eroga non solo prestazioni economiche, ma anche servizi e, soprattutto, perché utilizziamo una programmazione unitaria di tutte le risorse regionali e nazionali per la non autosufficienza, nell’ambito della quale le risorse del Fondo Nazionale rappresentano meno del 15% di quelle complessive destinate in Emilia-Romagna”.

 

Dotazione finanziaria del Fondo Nazionale per la Non Autosufficienza che, nonostante l’incremento costante registrato negli ultimi anni, non risulta sufficiente neppure per il Lazio, dove in diversi territori esistono liste d’attesa. Le linee guida regionali prevedono l’impiego di due criteri – l’ISEE sociosanitario e la compresenza di altri servizi socioassistenziali attivi – per determinare l’importo da corrispondere, che varia da 400 a 700 euro mensili, per persone con disabilità gravissima assistite dal caregiver familiare. 

La Toscana, che storicamente ha sempre puntato più sui servizi che sui sussidi, ai fondi stanziati dal Piano per il triennio, ha aggiunto circa 143 milioni di euro, provenienti da risorse regionali e degli ambiti territoriali. Resta invariato il contributo economico mensile, purché sia attivo un contratto di lavoro con uno o più assistenti personali, che va da un minimo di 900 a un massimo di 1.200 euro al mese, in relazione al livello di complessità assistenziale. Per persone affette da SLA il sussidio è di 1.650 euro mensili. Per i caregiver di persone con disabilità gravissima l’importo mensile è di 400 euro.

 

Anche la Puglia eroga più servizi che sussidi: oltre ai Buoni servizio che riguardano la frequenza nei centri diurni o l’assistenza domiciliare, è in vigore il Patto di cura 2023-2024, che prevede una sovvenzione mensile di 1.200 euro, per un massimo di 20 mesi, per persone con disabilità gravissima, che abbiano sottoscritto un regolare contratto di lavoro con un assistente o un educatore. La Regione fornisce anche il Sostegno familiare rivolto agli stessi destinatari, assistiti, però, da un caregiver familiare e che consiste in un contributo mensile pari a 700 euro per un massimo di 20 mesi, sussidio questo non cumulabile con il Patto di cura e che ha subito una riduzione di 100 euro rispetto al 2021. Tali misure sono finanziate anche dai fondi regionali e comunitari. Fondi questi che si equivalgono a quelli stanziati dallo Stato: in media, annualmente, dal fondo nazionale arrivano 58 milioni di euro; dalla Puglia, con l’aggiunta di fondi europei, la media è di 57 milioni.

 

Il Piemonte, in aggiunta ai fondi del Piano Nazionale, ha creato il voucher Scelta Sociale, si tratta di 90 milioni di euro per un contributo mensile di 600 euro, riconosciuto per 24 mensilità, rinnovabile e utilizzabile per assistenza domiciliare o in strutture residenziali.

Anche la Regione Friuli Venezia Giulia – che ha già speso interamente i fondi 2022, programmati sul 2023, e quasi tutti quelli del 2023, programmati sul 2024–  finanzia contributi diretti alle persone e alle famiglie attraverso il Fondo per l’autonomia possibile, con una quota di risorse superiore a quella ministeriale: si tratta di oltre 40 milioni di euro all’anno di fondi regionali, rispetto ai circa 17 milioni annui, programmati sul Fondo Nazionale per la Non Autosufficienza.