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Il suicidio in diretta di Vincent Plicchi e i predatori notturni

Cronaca

Domenico Barrilà

Sui social la capacità di immedesimazione, l’attitudine a “sentire l’altro”, tratti distintivi degli esseri umani, si attenuano, talvolta spariscono. Soprattutto non si sente più l’effetto di ciò che si infligge all’altro e quindi non si impara a dosare la pressione. Vincent tutto questo doveva saperlo

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Non è la prima volta che qualcuno si uccide in diretta su un social. Doppia tragedia, perché la vittima è un ragazzo. Succederà ancora. Le autostrade virtuali si intasano sempre di più di traffico giovanile, soppiantando quelle d’asfalto, rispetto alle quali, però, presentano un tasso di lesività morale assai più elevato. Di questo è morto Vincent che, vistosi diffamato senza rimedio -perché il web sporca e i solventi in grado di rimediare sono pochi e costosi, a parte l’oblio, ma quello richiede tempo- si è inflitto un vero e proprio suicidio d’onore. Un gesto eccessivo, ma le ferite da social sconquassano, perché non siamo fatti per le relazioni immateriali, e quando ci esponiamo ad esse entriamo in un dominio al quale non ci siamo ancora “adattati”, con effetti non sempre immaginabili.  I ragazzi fanno finta di non saperlo e noi grandi pure.

La virtualità

Siamo la conseguenza di centinaia di migliaia di anni di interazioni tridimensionali, la nostra psiche si è formata attraverso una miriade di azioni di contatto, terreno del quale conosciamo le regole mentre ci vorranno secoli per incorporare quelle della virtualità, dei contatti senza contatto. Un conto è fare scuola a distanza o una convention aziendale in collegamento tra due sponde dell’Oceano, altro è mobilitare e scambiare emozioni, una parte di noi che si è modellata attraverso passaggi temporali lunghissimi e che non c’entra nulla con la virtualità, dimensione dai confini incerti, ricca di penombre, affollata di stimoli carichi di soggettività arbitrarie, di pezzi di realtà rielaborata a capriccio, popolata di ragazzi che faticano a rapportarsi al prossimo e che cercano rifugio e compenso, costi quel che costi, proprio nelle pieghe dell’immateriale. 

Una solitudine in compagnia

Accade di incontrare adolescenti che vivono con fastidio qualunque contatto che non sia quello mediato dallo schermo, mossi dall’illusione di avere trovato un luogo rassicurante, una nicchia per non soffrire, una solitudine “in compagnia”, meno frustrante di quella tridimensionale. Apparentemente. Il punto sono i costi, la loro entità, perché sui social e nelle community dei videogiocatori si perde molto di ciò che ci fa umani, a cominciare dalla compassione e derivati, che non sono soggetti demodé ma veri e propri ingredienti di base della nostra specie, senza i quali diventiamo creature aliene dai connotati micidiali. L’accanimento cui sembra essere stato sottoposto Vincent, annientandone la resistenza, è figlio di questa progressiva mutilazione. Noi non siamo in grado di supportare modelli esistenziali fatto esclusivamente di scambi dove ognuno, svincolato dal dovere di “dare conto”, può comportarsi come se fosse in un sogno o in un incubo, spazi dove tutto è possibile, anche l’impossibile. Una sorta di all you can eat degli istinti in cui non si assapora nulla, perché il vero obiettivo è incorporare stimoli più in fretta possibile e “dare sfogo” anche alle parti del nostro mondo interiore che conosciamo meno. Non si elabora nulla, salvo quando cade una bomba, ma lo stop dura lo spazio di uno sbadiglio.

Il rischio è dietro l’angolo

Vincent aveva 300 mila Follower, eppure oggi possiamo dire che non padroneggiava il mezzo. Chi agisce su tali fronti dovrebbe mettere in preventivo il rischio di risultarne travolto, più il suo ruolo è elevato all’interno della comunità virtuale più il rischio è dietro l’angolo, perché basta una sola persona bacata, un sentimento di rivalsa che arriva chissà da quale anfratto della mente, per mettere in moto la macchina mortale. Operazione che può essere portata a compimento senza esporsi o quasi, come quando si spara da dietro una persiana. Questo è il cyberbullo, un cecchino, un mestatore morale che non arrossisce perché nessuno lo guarda in viso, e per questo può osare l’inosabile, più che in un’aula scolastica. Non importa cosa stabilirà la magistratura in questa triste vicenda, come distribuirà le parti in tragedia, l’unica certezza è che i social allontanano dallo spirito cooperativo, che può nascere solo dove ci sono azioni di contatto. Al massimo può creare complicità tra simili, l’illusione del sentimento sociale.

I social

Frequentare la virtualità, che non è il nostro ambiente naturale, ci colloca nella stessa posizione sperimentata dal povero ragazzo bolognese, la perdita del controllo sui processi emotivi che si alimentano nei lunghi, intricati e invisibili tunnel, abitati da creature notturne che soffrono la luce, quella che illumina le relazioni tridimensionali, dove si sbaglia e, sovente, si paga.Quando arriva un nuovo paziente, lo osservo mentre scende i gradini del cortile e raccolgo una buona quantità di indizi, altre informazioni arrivano dalla stretta di mano, dal suo modo di salutarmi, di sedersi, di guardarmi e da tante minuscole particolarità che registro nei primi scambi. Dallo “stare”. Durante il lockdown lavoravo attraverso dei software video, era uno stato di necessità, ma tutte quelle preziose informazioni le perdevo e le perdeva il paziente su di me. Mancavano centinaia di migliaia di anni di cammino evolutivo, attraverso i quali abbiamo imparato a cooperare, provare sentimenti ed emozioni, soccorrerci, accettarci o rifiutarci. Sui social la capacità di immedesimazione, l’attitudine a “sentire l’altro”, tratti distintivi degli esseri umani, si attenuano, talvolta spariscono. Soprattutto non si sente più l’effetto di ciò che si infligge all’altro e quindi non si impara a dosare la pressione. Vincent tutto questo doveva saperlo, non si guida un esercito di Follower tirando a indovinare o sperando nella buona sorte, perché alla fine sarai colpito, sarà solo una questione di tempo, e se diventi lo zimbello di tante persone, diventerà quasi impossibile rifarsi un’immagine, perché i testimoni della debacle sono stati un’infinità e non potrai mai ribaltare ogni singola sentenza.

 

La fragilità  

Quando un nemico, dichiarato o coperto, sente odore di fragilità nel bersaglio, comincia a istigare gli altri, perché nel dominio virtuale il modo più facile per vincere è fare perdere l’avversario. Di questo è rimasto vittima Vincent oltre che della fragilità e della scelta di vivere una parte cospicua della propria breve esistenza in un luogo immateriale, dunque innaturale, divenendone personaggio ma pagando tragicamente l’effetto “viale del tramonto”, innescato ad arte dagli odiatori di circostanza. Passare da mito a infame in un millisecondo, a soli 23 anni, è uno shock che nessuno potrebbe reggere o ammortizzare a costi bassi. Non è facile per i ragazzi maturare spirito critico verso i social e verso le community dei videogiocatori, ancora meno lo è la riscoperta di una sana nostalgia della realtà, perché vi si oppone il vero convitato di pietra, il sentimento di inadeguatezza, il mostro che sovrasta molte giovani vite, oggi più che mai, lo stesso che le spinge verso quelle stanze senza finestre, dove non arrivano i raggi del sole ma almeno nessuno ti umilia, salvo i prepotenti. Grandi frustrati, questi ultimi, che per compenso si cibano di dominio e di potenza, dando risposte immateriali a quelle attese che temono di non riuscire a soddisfare nel mondo reale. Sono loro i veri killer di Vincent, come sempre si sono mossi con la complicità della platea dei passivi, messa in moto come una valanga anonima e lasciata correre. Sui social nessuno e innocente, soprattutto chi tace, ma forse un giorno si affaccerà il senso di colpa e comincerà il lento ritorno a casa.

Alla realtà tridimensionale.

 

 

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/