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Expat, identikit dei giovani "cervelli in fuga" che lasciano l’Italia

Cronaca

Nadia Cavalleri

"La libera circolazione ci ha abituati fin da studenti a pensarci parte di un mondo più grande" dice l'esperta. Per capire chi sono i "cervelli in fuga" e perchè partono ci siamo fatti raccontare le loro storie 

 

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“Una delle caratteristiche che contraddistinguono la mobilità italiana dell’ultimo periodo è proprio quella di non riuscire ad avere un identikit unico" spiega Delfina Licata,  Capo Redattrice Rapporto Italiani nel Mondo Fondazione Migrantes, che ogni anno redige il rapporto con tutti i dati che riguardano il fenomeno. "Risulta evidente - continua l'esperta - che i giovani sono i protagonisti principali degli spostamenti nell’anno (giovani e giovani adulti per il 42%); da una parte sono ragazzi che hanno problemi di occupazione in Italia e che quindi tentano la fortuna all’estero con la ricerca di una occupazione che realizzi il loro sogno concretamente rispetto a quella che è la formazione che li ha contraddistinti in Italia,  dall’altra ci sono anche coloro i quali tentano un percorso migratorio di vita per meglio specializzarsi nella lingua, nella professione, durante il loro periodo anche di formazione".   

Sebastien, analista a Berlino

Sebastien non sembra avere grandi dubbi quando gli si chiede perché abbia scelto di non restare in Italia a costruirsi una carriera: "La verità è che i redditi sono molto più alti all’estero e il grande vantaggio è che ci sono più opportunità di lavoro per i giovani" spiega. Nella vita fa l’analista in un fondo investimenti e vive a Berlino dopo aver fatto l’università a Londra. Nel suo settore specifico la Germania va meglio dell’Italia e quindi non ha avuto esitazioni quando si è trattato di scegliere. “Dall’inizio c’è sempre stata l’idea che non volevo stare in Italia tutta la vita” spiega.

Sofia, graphicdesigner in Svezia

Sofia ha 23 anni e si è trasferita da circa 7 mesi in Svezia con il suo fidanzato. L’occasione di lavoro è arrivata per lui e lei ha deciso di seguirlo perché in Italia aveva iniziato una carriera da freelance come graphicdesigner ma, racconta,  “senza grande esperienza, quello cui potevo ambire era uno stage, un tirocinio o al massimo un apprendistato” mentre in Svezia vede un ambiente più vivace “non è per niente semplice” ci tiene a precisare “ma la Svezia è piena di start up, quindi c’è sempre richiesta di lavoratori nel mio settore”.

Marco, piccolo imprenditore in Polonia

Dopo aver trascorso un paio di anni in Sud America insieme alla compagna, Marco ha colto al volo un’occasione di finanziamento in Polonia e ha aperto un’attività tutta sua, una produzione di abbigliamento: "Considerate le opzioni abbiamo visto che la Polonia era meglio: l’Italia ci ha posto molti limiti che la Polonia non ci ha posto, ad  esempio ci ha dato invece dei soldi a fondo perduto che l’Italia non dava e che ci hanno permesso di iniziare un business da praticamente zero per acquistare tutti i macchinari che ci servono e che stiamo usando per iniziare senza letteralmente metterci nemmeno un euro. "In pratica si tratta di fondi che l’Unione Europea dà alla Polonia per i giovani che vogliono iniziare qualsiasi tipo di attività" spiega Marco, che precisa anche  “a differenza dell’Italia, o della regione dove vivevo io e dove mi ero informato,  dove sì, mi avrebbero dato i fondi, ma poi andavano restituiti con gli interessi”.

Rachele, digital marketing e influencer in Cina

“Sono stata per la prima volta in Cina durante il mio primo anno della triennale in Italia e mi sono innamorata subito: non appena atterrata ho proprio detto qui io ci devo tornare sicuramente” racconta Rachele, 29 anni, ormai da 6 in Cina. “Ho scelto di fare un master a Hangzhou in business management e così sono fermata in Cina per tre anni… e dopo la laurea sono rimasta per il mio lavoro. Ho un’azienda ad Hangzhou dove io e mio marito Luca, che è cinese, ci occupiamo di consulenze in digital marketing e lavoriamo molto anche con l’Italia e con l’Europa”.

Francesca, product manager a Madrid

"Vivevo in Italia, a Milano, avevo un lavoro che mi soddisfaceva, però allo stesso tempo avevo voglia di fare un’esperienza all’estero e in particolare in Spagna e imparare lo spagnolo era sempre stato il mio sogno" racconta Francesca. "Mi trovavo già lì per qualche mese e nel frattempo sono stata contattata su linkedin da un cacciatore di teste che cercava gente specializzata nel mio settore per questa società che si trova a Madrid. Ho fatto il processo di selezione e ho deciso di accettare la loro offerta". 

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La spinta è la mancanza di lavoro?

“Non si parte mai perché non si ha un lavoro” chiarisce infine Delfina Licata, che per stendere il rapporto annuale di Migrantes di giovani migranti ne intervista moltissimi ogni anno.  “Potrà sembrare strano questo, però la maggior parte delle risposte che noi raccogliamo sono date dalla realizzazione del sé, che passa anche attraverso il lavoro, un affrancamento rispetto alla famiglia d’origine, e che passa anche attraverso una retribuzione idonea”.

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