In Evidenza
Altre sezioni
altro

Per continuare la fruizione del contenuto ruota il dispositivo in posizione verticale

Donne e mamme che lavorano, tra diritti e gender gap

Cronaca

Roberta Giuili

Ora anche le parlamentari italiane possono allattare in aula. Un passo avanti in tema di parità di genere che, soprattutto per chi è genitore, spesso manca

Il tuo browser non supporta HTML5

Condividi:

Ogni tanto compaiono delle foto di donne, e anche di uomini, che portano i loro bambini nei parlamenti nazionali o in altre assemblee. Partiamo da quella che fece notizia in Parlamento europeo: Licia Ronzulli, allora eurodeputata, che portò più volte la figlia Vittoria in aula. Proprio lei ieri ha commentato il cambio di passo di Montecitorio su Twitter sul diritto delle donne ad allattare in Aula: "Finalmente! Le Deputate italiane potranno allattare alla Camera senza rinunciare al voto. Bruxelles ha aperto la strada già 12 anni fa e lo chiedo da allora per le colleghe neo mamme in Italia. Sulla conciliazione lavoro-famiglia, le Istituzioni devono essere da esempio". 

Momenti storici 

La prima in assoluto probabilmente fu Michelle Dockrill, canadese, che nel 1998 si presentò alla camera con il suo bambino di meno di due mesi di età.  

Recentemente in Australia Larissa Waters ha non solo allattato in aula la sua bambina, ma lo ha fatto addirittura durante un intervento parlamentare.  

Regno Unito in controtendenza

In controtendenza va invece il Regno Unito, dove a Stella Creasy, politica laburista, è stato vietato di portare i suoi bambini in aula. È vero che il parlamento londinese mette a disposizione una nursery, ma il gesto era anche simbolico, per sottolineare la difficoltà che incontra una donna nel conciliare la propria vita di mamma e lavoratrice.  

  

Il primato neozelandese

Jacinda Ardern, premier neozelandese, addirittura si presentò all’Onu con la sua bambina e il marito. 

E sempre dalla Nuova Zelanda anche un uomo, presidente della Camera che allattò un bambino in Aula. Il bebè non era nemmeno suo, ma di un collega: faceva da baby-sitter a una coppia gay in nome di un gesto simbolico ancora più ampio. 

 

"Child penality gap"

Nel rapporto di quest’anno Save the Children le definisce “le equilibriste”: si tratta di 6 milioni di donne italiane che lavorano come mamme e non solo.

Non si tratta solo di gender gap, in questo caso esiste un altro termine: "child penalty gap". Una sorta di penalità che le donne pagano spesso nella loro vita lavorativa nel momento in cui diventano mamme.  

Tra i genitori infatti, considerando chi ha almeno un figlio minorenne, l’88% dei papà lavora, rispetto a meno del 60% delle mamme.

E poi come lavorano queste mamme? Perché già le donne, più degli uomini, hanno dei contratti part-time involontari. Quando parliamo di mamme, la percentuale di part-time è ancora più alta. E poi soprattutto, molte più mamme lasciano il lavoro.

Per quali motivi? L'ispettorato Nazionale del Lavoro segnala che è soprattutto per la difficoltà di conciliare il lavoro con la cura dei bambini. Mentre i papà, se lasciano il lavoro, è di solito per il passaggio ad un'altra azienda.