Francesco, Simone e Pierlorenzo studiano a Los Angeles. Alberto lavora con un’azienda svizzera. Quando è scoppiata l’emergenza sanitaria hanno ideato dei visori che permettono agli studenti di esercitarsi in laboratorio anche dalla propria camera. Ora partiranno con il progetto a Varese.
Cammini, apri lo sportello, prendi delle provette dal frigo e le posizioni sul banco da lavoro. Ripassi mentalmente quello che hai letto sul libro su come si fa a estrarre una proteina da un campione di sangue. Provi e riprovi, fino a riuscirci. Poi riposizioni tutto al suo posto. Ma, anziché levarti gli occhiali protettivi da laboratorio, sollevi il visore di realtà virtuale e ti ritrovi nella tua camera.
La realtà virtuale per gli studenti di biologia
Francesco ha 22 anni, vive e studia a Los Angeles. Insieme ad altri tre ragazzi italiani ha creato un laboratorio in realtà virtuale dove gli studenti di biologia possano esercitarsi quanto vogliono semplicemente grazie ad un visore che li trasporta nel mondo di fialette, reazioni e camici bianchi. “Abbiamo iniziato a marzo, proprio quando, da un giorno all’altro, è scoppiata la pandemia”, racconta Francesco, “ci siamo messi a pensare a quali problemi la realtà virtuale potesse aiutare a risolvere nel mezzo dell’emergenza sanitaria”. Seduti a un tavolino, parlavano della situazione dei loro amici in Italia e in America che non potevano più andare all’università. "Alcuni studiano biologia e abbiamo pensato a loro che non sarebbero più potuti entrare in laboratorio", spiega, “avevamo già lavorato con la realtà virtuale e abbiamo pensato di provare ad utilizzarla per creare delle simulazioni degli esperimenti che si fanno nelle ore di training”. Anche perché il Covid ha accentuato un problema già esistente. “Soprattutto in Italia, i laboratori sono pochi e gli studenti troppi”, spiega Francesco, “quindi spesso sono costretti a lavorare a turni o a perdere ore sui libri”. L’obiettivo di Alens XR, così si chiama la start-up che hanno fondato, è proprio quello di dare più accesso possibile a tutti al training in laboratorio: più tempo per esercitarsi, migliorare e anche per fare errori. “Si dice che l’università debba preparare gli studenti al mondo della vita reale”, dice Francesco, “e oggi questo vuol dire anche insegnargli a lavorare in realtà virtuale”.
Tra Italia e California
Francesco è cresciuto a Roma e ora studia Business in America. Simone e Pierlorenzo sono di Milano e anche loro sono arrivati in California per fare l’università. E poi c'è Alberto, invece, che è un ricercatore presso un’azienda in Svizzera che sviluppa test diagnostici. La mattina si svegliano e lavorano per il loro progetto poi il resto del giorno Francesco, Simone e Pierlorenzo devono seguire le lezioni dell’università e studiare per gli esami. Alberto deve andare al lavoro. “Prima del Covid avevamo un ufficio, ora lavoriamo in remoto”, spiega Francesco, “abbiamo deciso di fissare la riunione settimanale alle 10 di mattina di Los Angeles, un orario che vada bene sia in Italia che in California”. In America fanno parte di due incubatori di start-up, in Italia inizieranno a sperimentare il loro progetto. Tra qualche settimana gli studenti dell’Università dell'Insubria di Varese saranno i primi studenti di biologia a imparare a lavorare in realtà virtuale. “Noi vorremmo che lo spazio della realtà virtuale si possa sostituire non al laboratorio in sé, ma allo studio teorico, così che uno studente che arriva in laboratorio con il professore non debba passare ore a capire come funziona quello che ha solo letto su un libro”. Un'esperienza accademica, ma in stile americano.