Il ragazzo di 28 anni è deceduto il 30 dicembre 2019 in seguito a un'infezione dopo aver perso 25 chili. I familiari chiedono che non venga accolta la richiesta di archiviazione del caso da parte della procura
"Mio figlio l'hanno lasciato morire, non è la prima volta che succede e non deve più accadere". Lo afferma Rosalia Federico, madre di Antonio Raddi, il ragazzo di 28 anni che il 30 dicembre 2019 è morto in ospedale in seguito a un'infezione dopo aver perso 25 chili mentre era detenuto a Torino. Stamattina i familiari della vittima, insieme ai legali che li assistono, hanno organizzato una conferenza stampa per chiedere che il caso non venga archiviato, come richiesto nei giorni scorsi dalla Procura di Torino, che ha aperto un fascicolo per omicidio colposo.
Il padre: "Mi aveva detto 'fammi uscire che mi fanno morire qui dentro'"
Con accanto la moglie, la figlia, l'avvocato Gianluca Vitale e la Garante dei detenuti della Città, Monica Gallo, il padre di Antonio Raddi è tornato a raccontare la storia del figlio e a chiedere giustizia dopo la richiesta di archiviazione del caso. "Mio figlio non ha mai fatto uno sciopero della fame in carcere non gli è mai stato proposto di andare in un reparto sanitario. Dopo l'ultimo ricovero - ha raccontato -, il primario di Rianimazione del Maria Vittoria ci ha chiamati in ufficio e ci ha detto che in quarant'anni di servizio non aveva mai visto nulla di simile. In quei diciassette giorni di coma, funzionavano solo cuore e cervello, gli altri organi erano tutti compromessi. Il 3 gennaio 2020 hanno fatto l'autopsia. Gli operatori delle onoranze funebri non sono neppure riusciti a vestirlo, così lo hanno avvolto in un lenzuolo bianco". Poi ha aggiunto. "Speriamo che si dica come sono davvero andate le cose, senza falsità. Antonio stava male da mesi, beveva caffè e fumava tantissimo, l'acqua gli procurava dei fortissimi mal di stomaco. Un ragazzo detenuto con Antonio ci ha detto che l'intera sezione del carcere quando mio figlio stava male, ha protestato affinché lo curassero, ma nessuno li ha ascoltati. Io non potevo fare nulla eppure lui me l'aveva detto 'papà fammi uscire che mi fanno morire qui dentro'".
Le richieste di aiuto
"Antonio ha scritto molte lettere in cui chiedeva aiuto - riferisce Mario Raddi -. Negli ultimi colloqui mi diceva 'portami a casa, non ce la faccio più, qui non mi aiutano, mi fanno morire qui dentro'. Vogliamo che venga fuori la verità, perché cose del genere non capitino più a nessuno. Testimoni ce ne sono tanti e l'omertà in questi casi dovrebbe essere messa da parte - ha sottolineato-, le persone dovrebbero dire come sono andate le cose e quello che hanno visto invece che raccontare falsità, perché non è vero che abbia rifiutato le cure o che non mangiasse per poter uscire dal carcere". Per mesi anche la Garante aveva segnalato la vicenda "e oggi mi chiedo ancora - afferma il padre - quali delle autorità a cui io ho inviato mail per mesi e mesi siano andati davvero a vedere quel ragazzo negli occhi, a vedere come stava".