Google, Nest Guard ha un microfono non dichiarato nelle specifiche: “Nostro errore”

Tecnologia
Google (Getty Images)

L’azienda ha ammesso di aver dimenticato di riportarela presenza del microfono tra le specifiche tecniche. Il caso è nato a inizio febbraio, con l’annuncio di un aggiornamento che avrebbe integrato Google Assistant 

Google Nest Guard, il sistema d’allarme domestico progettato dall’azienda californiana, ha un microfono integrato non menzionato tra le specifiche tecniche del dispositivo. La società di Mountain View ha ammesso che si è trattato di una dimenticanza, come dichiarato da un portavoce al portale Business Insider: “Il microfono non doveva essere un segreto, ma avrebbe dovuto essere riportato nelle specifiche tecniche. È stato un nostro errore”.

Caso nato in seguito a un aggiornamento

Il singolare caso è nato a inizio febbraio, quando Google ha annunciato un nuovo aggiornamento per Nest Guard, grazie al quale il dispositivo avrebbe supportato Google Assistant, l’assistente vocale di Mountain View. Tuttavia, la notizia ha colto di sorpresa i consumatori, soprattutto quelli più attenti alla loro privacy, in quanto da nessuna parte, né sulla confezione né sul foglio delle specifiche, era riportata la presenza di un microfono. In seguito, Google ha voluto chiarire che il microfono è sempre spento e che può essere attivato solo da parte dell’utente dopo aver abilitato la specifica opzione. “I sistemi di sicurezza utilizzano spesso i microfoni per fornire funzionalità che si basano sul rilevamento del suono”, ha precisato l’azienda. “Abbiamo incluso il microfono sul dispositivo in modo da poter offrire in futuro funzionalità aggiuntive ai nostri utenti, come la possibilità di rilevare il rumore dei vetri rotti”, ha concluso Big G.

Quando Amazon inviò 1700 conversazioni di Alexa all’utente sbagliato

Non è la prima volta che microfoni e assistenti vocali finiscono al centro di casi riguardanti la privacy dei consumatori. Lo scorso dicembre, ha avuto un’ampia risonanza l’episodio che ha visto come protagonista Amazon, che per errore ha inviato 1700 conversazioni di Alexa alla persona sbagliata. È successo in Germania, dove un utente ha richiesto all’azienda di poter disporre, come suo diritto garantito dalla normativa europea sulla privacy (GDPR), di tutti i suoi dialoghi con lo smart speaker, ma i file consegnati da Amazon corrispondevano a quelli di un altro cliente. Nelle conversazioni erano contenuti molti dati riservati, come i comandi per controllare Spotify, per gestire i termostati e per attivare gli allarmi di casa, oltre a informazioni private come nomi, indirizzi e altri contatti.

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