Germania, nazismo e videogames

Tecnologia

Cristian Paolini

Bethesda
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L’autorità tedesca per il settore videoludico ha autorizzato la riproduzione di simboli legati al Terzo Reich finora censurati per il mercato locale

La notizia è dei giorni scorsi: la Usk, il sistema di rating dei giochi tedesco, ha sdoganato in Germania i videogiochi con espliciti riferimenti al periodo nazista, limitandosi a riservarne l’uso ad un pubblico adulto. Si tratta di un’iniziativa, attesa 26 anni, che di fatto equipara i videogames ad altre forme di espressione artistica, come film, fumetti e serie tv.

Il caso di Wolfenstein II

Non ci sarà dunque mai più un Wolfenstein II “censurato” (GUARDA IL TRAILERGUARDA LE DIFFERENZE), il popolare gioco di azione che si svolge in un futuro distopico dove Hilter, anzi Heiler nella versione riservata al mercato tedesco, è un perfido cancelliere che non ha mai perso la guerra (e in compenso ha perso i baffi sempre per la legge succitata), e in cui sono state camuffate come da legislazione tutte le insegne che richiamavano l’iconografia nazista pur non avendo alcuna intenzione di celebrarla.

Il nazismo nei videogiochi

Proprio Castle Wolfenstein, il capostipite della saga, introdusse nel preistorico, per il mondo dei videogiochi, 1981 il nemico nazista nel mondo videoludico (erano i tempi di Atari 8-bit e Commodore 64), anche se si era lontani dallo sparatutto in soggettiva che sarebbero diventati i suoi eredi ed era un gioco soprattutto di abilità e strategia. Nel secondo capitolo Castle Wolfenstein Beyond lo scopo del gioco era addirittura eliminare Hitler, mettendo una bomba nel suo bunker e fuggendo prima che eplodesse. Quasi un’era geologica dopo (almeno per le console) sarebbero venuti titoli più spettacolari come Call of duty e Medal of honour a riportare quell’oscuro periodo a portata di joypad, ma questa è un’altra storia. Esattamente come quella che, per fortuna, ha avuto luogo rispetto all’universo di Wolfenstein II.

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