Filippo La Mantia incontra il re della pasticceria, Iginio Massari

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Barbara Ferrara

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L’oste e cuoco palermitano è ospite alla corte di Iginio Massari The Sweetman - Celebrities. In attesa di vederlo all’opera accanto al maestro, lo abbiamo intervistato. Leggi l’intervista e scopri cosa ci ha raccontato

Inizia a “strimpellare ai fornelli” che è ancora un ragazzino, nel 2001 decide di indossare la camicia da cuoco e da allora non l’ha più tolta. Filippo La Mantia costruisce la sua carriera a Roma, dove sente di rinascere una seconda volta e cucina per capi di stato e rockstar. Ha successo, potrebbe vivere sugli allori, ma è alla costante ricerca di nuovi stimoli, vive alla giornata e ama cambiare. Sbarca a Milano e ammette che neppure gli amici chef più cari avrebbero scommesso sul suo successo. Il ristornante milanese porta il suo nome e lo rappresenta: “è a mia immagine e somiglianza, me lo sono fatto cucire addosso come un abito su misura”. La Mantia è un uomo pieno di risorse, sa il fatto suo, ma si avvicina ai maestri con “passo felpato” e non ama appellativi che non gli appartengono. Leggi l’intervista e scopri cosa ci ha raccontato di sé e dell’incontro con il re della pasticceria italiana, Iginio Massari.

Cosa la gratifica di più nella vita?

A parte famiglia, figli, neonati e avventure personali, sicuramente la professione e il ristorante che è una certezza. Non immaginavo che aprendo a Milano avrei avuto tanto lavoro, qui sono presenti tutti gli chef importanti e i grandi progetti, probabilmente il mio locale è riuscito a intercettare un segmento che mancava.
Da quanto è aperto?
Da tre anni e qualche settimana e il bilancio è molto positivo. Una grande spinta mi è arrivata dall’aver affidato il progetto allo studio Lissoni. Piero ha creato un luogo dove la gente, chiunque essa sia, si sente a proprio agio, è informale e formale al tempo stesso. E’ una grande casa con una bellissima ambientazione.
Come è andata l’incursione dal maestro Massari?
Da autodidatta cinquantottenne mi avvicino sempre con passo felpato ai maestri e agli stellati. Ho un sacco di amici con tre stelle, persone che hanno studiato e approfondito le tecniche, che hanno esperienza ormai da trent’anni, gente sul pezzo da sempre. Oggi queste persone possono permettersi anche di andare in televisione, fare un programma e comunicare cosa fanno. Il mio, nei confronti del maestro Massari, è stato un approccio molto bello, inoltre ho captato un certo rispetto nei miei confronti. Il mio era, oltre che professionale, verso l’uomo che ha fatto tantissimo per l’Italia. Partecipare al programma è stato anche un bel gioco.
Il dolce che avete preparato?
La cassata palermitana, il maestro ne ha fatto una sua versione, si è impossessato del progetto antico (la cassata ha più di duemila anni) e ne ha fatto un dolce attuale, a me è piaciuto molto. Ovviamente per il palermitano non è la cassata classica, ma la sua reinterpretazione è stata straordinaria, così come la costruzione estetica.
E’ anche il dolce della sua infanzia?
Certo. A Palermo c’è un detto: ”Chi non mangia la cassata a Pasqua è un cornuto”. E’ un dolce della primavera fatto di ricotta che viene riproposto durante tutto l’anno e che per questo mangiamo sempre.
Il cibo consolatorio per eccellenza?
L’arrosto panato di mia madre, ogni volta che arrivo a Palermo me ne fa trovare quattro fette, mi piace moltissimo. E’ una ricetta semplice della casa, per me è il piatto della consolazione. Quando sono stanco io in cucina mi faccio un arrosto panato.
Lei si definisce oste e cuoco, storce il naso se la chiamano chef.
Chiariamo subito: mi piacerebbe essere uno chef, ma non lo sono. E sono onesto, non ho studiato, sono un autodidatta che fa il cuoco da diciotto anni, alla gente piace quello che faccio e mi riconoscono per questo. Questa è l’unica cosa di me che ammiro: non voglio appellativi che non mi appartengono.
Cosa non può mancare nel suo frigo?
I prodotti della mia terra, e non è una battuta. Capperi sotto sale, acciughe di Sciacca, caciocavallo ragusano e olio (non in frigo naturalmente): sono gli ingredienti che caratterizzano un piatto. Ieri sera, dopo essere tornato stanco da Palermo, mi sono fatto uno spaghetto con l’olio, il cappero, l’acciughina e un po’ di origano e caciocavallo grattugiato sopra, per me quello è la sintesi perfetta di un piatto e della fame.
La sua cucina è famosa anche perché bandisce aglio, cipolla e scalogno.
So che caratterizzano la cucina della mia regione e quella italiana, ma non mi sono mai piaciuti, per questo non sono presenti, li ho esclusi insieme al porro: all’inizio mi hanno massacrano, poi sono stato riconosciuto anche per questo.
Chi le piacerebbe avere a cena?
In maniera assoluta, dato che sono un rocchettaro, Jimi Hendrix. Tra i viventi ho dato da mangiare a tutti quelli che ammiro, ho incontrato tanti testimoni di questo periodo storico.
Cosa consiglierebbe ai giovani che vogliono cimentarsi nel suo mondo?
Incontro dodici istituti alberghieri all’anno, vado perché i professori mi invitano, dico a tutti: “Se avete deciso di fare questo lavoro, vi dovete fare il mazzo, altrimenti cambiate passione e mestiere. Non timbrate il cartellino, c’è da lavorare per tantissime ore al giorno, tutti i giorni”.
 

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