Watchmen, la recensione del quarto episodio della serie tv

Serie TV

Paolo Nizza

Tra segreti di famiglia e meraviglie del mondo, la quarta puntata di Watchmen introduce un nuovo personaggio, mentre Adrian Veidt affina i propri tentativi di fuga: leggi la recensione.

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Il quarto episodio di Watchmen (la serie creata da Damon Lindelof e ispirata all'omonima miniserie a fumetti di Alan Moore e Dave Gibbons) è una sorta di interludio in una vicenda sempre più complessa e articolata. A partire da titolo della puntata, ovvero “If you don't like my story". Si tratta di una citazione tratta dal libro Things Fall Apart di Chinua Achebe (in italiano "Il Crollo”). Il romanzo è una pietra miliare della letteratura africana. Non a caso, si tratta dello stesso libro che sta leggendo il marito di Angela in una delle ultime scene di quest’episodio in cui elementi della graphic novel si mescolano con la Storia degli Afroamericani.

Grazie a una ricostruzione virtuale del proprio albero genealogico, Sorella Notte (una regina King sempre più brava) scopre alcuni elementi sul passato di suo nonno. Ma la rivelazione più importante la apprende da Laurie Blake. Il nome completo di Will è William Reeves. Faceva il polizotto a New York City tra gli anni 40 e 50. Si è congedato presto per poi sparire nel nulla. La scoperta più importante di questa puntata resta comunque l’apparizione di Lady Trieu (interpretata da Hong Chau). La donna ha ereditato l’impero di Ozymandias. È una trilionaria che vorrebbe salvare il mondo, speriamo non con le stesse modalità di Adrian Veidt. Oltra ad avere la capacità di creare bambini, come si evince dallo straniante e misterioso prologo iniziale (sottolienato dA Islands in the Stream cantata da Dolly Parton e Kenny Rogers) , Trieu ha fabbricato la prima meraviglia del nuovo mondo, il famosissimo "Orologio del Millennio", sorto alla periferia di Tulsa, in Oklahoma.

A differenza delle grandi opere del passato, come il colosso di Rodi e il Faro di Alessandria, si tratta di una struttura destinata a durare nel tempo. E, ancora una volta, è proprio il tempo il fil rouge che attraversa tutti gli episodi della serie. Dai 30 secondi di vita dei calamari che piovono dal cielo al ricordo della violenza subita dalla madre di Laurie, passato, presente e futuro si rincorrono in un gioco di scatole cinesi. Così, tra un omaggio a Bubastis, la lince geneticamente modificata, che qui compare sotto forma di peluche, all’apparizione di un misterioso vigilante più scivoloso di un’anguilla, Watchmen ci ricorda che non si può scherzare con le cose che cadono dal cielo e che l’eredità non è nella terra, ma nel sangue.

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Dopo aver scoperto che a prelevare l’automobile di Angela è stato un drone fabbricato dall’azienda di Trieu, e che la tunica e il cappuccio del Ku Klux Klan ritrovati nell’armadio di Crawford è della vecchia scuola, ci trasferiamo nella misteriosa dimora di Adrian Veidt. L’ex Ozyamndias ci rivela che si trova in quella prigione da 4 anni. Molto probabilmente non è situata sul Pianeta Terra. Con una sorta di strumento che ricorda le trappole per aragoste, Adrian pesca in acque profonde feti dalle fattezze umane. Grazie a una capsula che pare uscita dalle pagine di un romanzo di Julius Verne, Veidt trasforma i neonati nei cloni dei suoi due domestici, mentre un grammofono suona un capoalvoro  della musica black, ossia Do your thing di Leroy Sibbles.

Certo, non è molto divertente la vita di questi due androidi che rispondono ai nomi di Mr. Phillips e Ms. Crookshanks. Essi non hanno alcuno scopo, tranne quello di servire Veidt. E infatti, scopriamo che, in seguito a una nottata difficile, Adrian ha sterminato tutti la sua servitù, mentre in sottofondo si diffondono le note della settima sinfonia di Beethoven. Cosi con l’aiuto della nuova coppia di servitori, Adrian lancia con una catapulta i corpi dei suoi cloni morti. Una sequenza dal fascino surreale che pare disegnata da Topor o da Max Ernst, a dimostrazione di quante suggestioni abitino in questo episodio di Watchmen che inizia con due tuorli d’uovo e finisce con il nonno di Angela che nella casa di Trieu imita il rumore dell’orologio. Un inquietante tic-tac che ci fa intuire che la prima meraviglia del nuovo mondo forse non serve solo a misurare il tempo.

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