Måneskin in concerto a Bologna, un viaggio oltre il tempo e lo spazio

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

Due ore senza soste, surfando sul pubblico e facendolo saltare ed emozionare nel racconto di una generazione che attraverso Victoria, Damiano, Thomas ed Ethan ha riscoperto il punk e la sua essenza, imparando che non sempre serve stare zitti e buoni. LA RECENSIONE

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Un velo rosso che sembra voler arginare le note potenti di Don’t Wanna Sleep (e che fa coppia col rosso che colora Victoria) cala all’improvviso sul popolo dell’Unipol Arena e i Måneskin appaiono senza filtri in tutta la loro magnificenza. Nessuna parola, nessuna pausa…con una roboante schitarrata finale si passa direttamente a Gossip. Sulle loro teste una astronave di luci. Damiano è un samurai uscito dal futuro. Victoria e Thomas come due musicisti siamesi, spesso incollati nel seminar una tempesta di note. Ethan detta i tempi e vigila alle loro spalle. La scelta, più volte utilizzata nell’arco delle due ore di live, di collegare i brani annulla la dimensione spazio temporale, quell’impalpabile ma fondamentale microsolco che nel vinile divideva le canzoni, i Måneskin lo tramutano in un unicum. Fin da subito si è capito che non sarebbe stata una serata da vivere seduti. E così da Zitti e Buoni in poi sono tutti in piedi e Damiano invita ugualmente a saltare. Victoria suona il basso in ginocchio, sul fronte del palco, come una divinità nordica, una valchiria. Damiano continua ad aizzare Bologna prima di partire con Own My Mind. Si prosegue con Supermodel e poi si rallenta con quella ballata ruvida e amara che è Coraline.

Poi l’attacco di Baby Said. Il rosso resta il colore dominante: passione, sangue, lussuria, demonio e santità. Sempre sul crinale questi pronipoti dei Damned e dei Ramones. Bla bla bla è un nonsense, è la Gnosi delle Fanfole di Fosco Maraini giocata in versione rock. Damiano scende dal palco e va alle transenne dopodiché si getta e surfa sulla sua gente! Poi torna sul palco per urlare rabbia in In Nome del Padre. Un segno della croce laico dove cerca di guardare più avanti di ciò che vede! A urlare, a saltare ora sono anche i genitori.

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Beggin’ è la canzone della gioia, perché li ha portati oltreoceano, ma anche dei dolori perché è stata fonte di critiche: la risposta arriva dal pubblico che li accompagna parola per parola, sillaba per sillaba. E ora è Victoria a offrirsi al pubblico, è il suo momento di crowd surfing. Blues e quaresimale Timezone che accarezza i pensieri con la dolcezza plasmante delle anse del Mississippi. For your love viene annunciata come la preferita di Thomas, lo rivela Damiano, e sul finale il chitarrista si porta al centro del palco e va avanti da solo e accompagna il pezzo come un cavaliere dell’apocalisse: un gran finale zeppeliniano. La batteria di Ethan muove cenni e folgori e fa esplodere la natura devastante di Gasoline. A proposito le fiamme ci sono davvero e scaldano. Non che ce ne fosse bisogno con questo pubblico ma sono la seconda oliva nel Martini Cocktail, un must, una coccola. Trasferta sul palchetto centrale per Damiano e Thomas. Si comincia con Torna a casa e qualche lacrima riga i volti delle fan emozionate dalla vicenda di Marlena. Vent’anni è un inno generazionale ed è il solo brano ascoltato in (simil) silenzio, una forma di rispetto per chi è pronto per lottare e cercare sempre la libertà. Emozionante per me vedere tanti adolescenti cantare con Damiano Amandoti, pezzo di una dolcezza indicibile, una smisurata preghiera d’amore firmata da Giovanni Lindo Ferretti nella stagione straordinaria dei CCCP.

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Si torna sul mainstage dove Victoria ed Ethan alzano i decibel per lanciare I Wanna be your slave. La bassista torna a contatto col fronte del palco che non vorrebbe restituirla alla band. E giunge il momento “salto”: tutti in ginocchio e alla fine del countdown la platea balza verso il cielo dei sogni. La Fine è l’ultimo pezzo in italiano di una serata senza iati che volge al termine. Arringata la folla con un onomatopeico ahahaah deborda dal palco come l’acqua da una vasca da bagno colma il fluido di Feel. Damiano vuole ancora in alto le mani per Mark Chapman. È proprio il caso di dire Mammamia…con quella batteria che scandisce ogni singola sillaba di una ‘sì bella parola. Kool kids chiude il concerto ma con una sorpresa: un manipolo di fan viene invitato sul palco e sono i meglio kool and cool kids! Il finale e i saluti sono affidati a The Lonielist (l’incipit è di Thomas che nel suo assolo usa anche i denti e crea un gioco quasi morriconiano, da spaghetti western) e al ritorno di I wanna be your slave! E nessuno vorrebbe essere una Marlena che torna a casa, tutti vorrebbero che il tempo si fosse fermato. E comunque mai più…zitti e buoni!

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LA SCALETTA


  1. Don’t Wanna Sleep
  2. Gossip
  3. Zitti E Buoni
  4. Own My Mind
  5. Supermodel
  6. Coraline
  7. Baby Said
  8. Bla Bla Bla
  9. In Nome Del Padre
  10. Beggin’
  11. Timezone
  12. For Your Love
  13. Gasoline
  14. Torna A Casa
  15. Vent’Anni
  16. Amandoti
  17. I Wanna Be Your Slave
  18. La Fine
  19. Feel
  20. Mark Chapman
  21. Mammamia
  22. Kool Kids
  23. The Loneliest
  24. I Wanna Be Your Slave
 
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