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Muro del Canto, soffia il Maestrale nel rapporto tra uomo e natura

Musica

Fabrizio Basso

Credit Georgiana Acostandei

A quattro anni da L’amore mio non more, che li ha consacrati come band di culto nel panorama della musica indipendente nazionale, il gruppo pubblica il quinto disco in studio. L'INTERVISTA

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Maestrale è il nuovo album di inediti de Il Muro del Canto e arriva a quattro anni da L’amore mio non more, undici brani anticipati dai singoli Controvento e Cometa, seguiti dal terzo estratto La Luce della Luna, in cui Il Muro del Canto continua la sua evoluzione stilistica e comunicativa mantenendo evidenti i propri tratti distintivi. Introduce, più che in passato, elementi di rinnovamento sia nel linguaggio che nell’approccio musicale. La forza del dialetto romano, presente anche in molte tracce di questo quinto capitolo, cede talvolta il passo all’italiano. Ho chiacchierato di Maestrale con Alessandro Pieravanti.

Alessandro partiamo dalla storia dell’album: quando e come lo avete pensato e costruito?
Nasce negli ultimi tre anni ed è stato registrato in un periodo storico di eventi avversi; lo abbiamo scritto in campagna perché in sei non si poteva stare in una stanza. Eravamo in una vigna. Tutto questo ci ha portato nel rapporto uomo/natura, mentre il precedente album era centrato sul tempo. Siamo fragili verso la forza degli elementi, la tecnologia non è nulla al confronto. In primis vuole essere una riflessione per noi, per staccarci da una tecnologia che ci porta lontano dall’intimo, dall'autentico e dall'essenza del pianeta terra.
La Luce della Luna è una canzone di fine percorso umano: quando dite io credo a nantra Santità è comunque un messaggio di fede. A chi è rivolto? Per altro in Cenere e Carbone è netta la sfiducia in una parte del clero, quello che ti manda in prigione anche se parli sotto confessione.
Da una parte c’è un aspetto mistico che ci appartiene, che è sempre presente nei nostri dischi: è una spiritualità che prescinde i dogmi religiosi, la nostra è forte e si allinea nel rapporto uomo/natura. La materialità oggi è predominante. Da romani ci aggiungo che il Vaticano è ingombrante, ha a che fare con determinati stilemi della religione cattolica, dunque, c’è uno sguardo critico verso certi processi, ambienti e dinamiche; fa parte del nostro immaginario e della scenografia dove ci sono i protagonisti delle nostre storie.
Chi è il somaro che anche se caricato troppo ti è stato appresso?
Parliamo spesso di animali. Qui protagonisti sono un somaro e un cane, animali fedeli. Nella cultura contadina il somaro è fatica ma anche fedeltà al fattore. Ci serviva come metafora per lo sforzo che descriviamo.
Come si possono ricucire i pensieri spaccati a metà e smettere di essere polvere su un paralume?
Serve a ridarci una dimensione un po’ più terrena. Anche verso una civiltà con derive poco positive, siamo polvere e sul paralume serve a contestualizzarla alla vita di appartamento, mi piacciono le storie che restano nella stanza. Il pensiero spaccato a metà perché sono due che si lasciano, la testa si divide e ci sono la vita di prima e quella di dopo.
Se il tempo strappa le maschere, voi con la vostra musica quanto avete contribuito preservare l’identità nella stagione dei social e delle fake news?
Ci teniamo a fare lavori che restino nel tempo e per essere testimoni del tempo bisogna essere senza tempo, siamo una voce di popolo e essere tradizionali ci aiuta a creare qualcosa che duri.
Il vostro andare Controvento è l’evoluzione della direzione ostinata e contraria di De André?
C’è una analogia forte. C’è la volontà di porsi in chiave antagonista verso quello che succede e non seguire la massa. Siamo un gruppo fuori moda, mai in trend e in classifica e ci piace andare in direzione contraria rispetto alla moda del momento.
La Lupa dentro al cuore che non trova da mangiare è la Roma di oggi? Anche perché in Pugno di Mosche c’è il rammarico per non avere preso il treno per fuggire da questa città.
Quella Lupa rappresenta una condizione umana, è fame di relazione e sentimenti. La Lupa è la rappresentazione della nostra vicenda popolare e moderna. E ‘una relazione di amore e odio, si immagina di scappare ma si resta sempre qui.
Alla fine possiamo dire che ogni ora è buona per ricominciare e basta bruciarsi sulla partenza?
Il messaggio lo troviamo anche nella conclusione di Cometa: abbracciare la prima persona che troviamo è rinascere ogni volta. Sono spunti di rivalsa e positività in una società complessa.
A proposito, se potessi salire su una cometa dove ti faresti portare?
Il brano è stato scritto proprio con l’idea di andare in alto e guardare gli altri ma astraendosi. E’ un posto in cui si può evitare di guardare le cose nel proprio piccolo e ci estranea anche da sé.
Il vento che agita il cuore ha smesso di soffiare? Dove ha portato quell’amore?
Il vento va e viene e per questo si chiama Maestrale, porta il bel tempo. Quello del cuore vive sentimenti forti, se si abbassa il vento i sentimenti diventano contrastanti.
Quando quel matto tornerà a farci ridere significa che stiamo vincendo la partita della vita?
Racconta di problemi di salute mentale. E’ un messaggio alle persone che hanno queste problematiche, la nostra idea è che i matti non devono diventare normali, ma sono i cosiddetti normali che devono capire il valore di quel punto di vista diverso, bisogna entrare in quel mondo.
Che accadrà nelle prossime settimane?
Abbiamo una estate intensa e ci fa piacere, il disco vogliamo portarlo in giro in tutta Italia. Abbiamo pure quattro date di supporto a Ben Harper oltre a quelle da headliner. Continueremo poi in autunno con l’idea che i nostri live devono essere una festa che lascia il sorriso.