Vasco: "Affitto San Siro e vi consolo con la musica". La storia di un mito

Musica

Fabrizio Basso

Vascor Rossi durante l'incontro con la stampa
vasco_rossi

Giugno comincia con il primo dei sei San Siro di Vasco Rossi. Una impresa mai riuscita a nessuno. Lui promette il rock che consola perché “la disperazione la soffochi con me”. A poche ore da questo (ennesimo) debutto ho incontrato Vasco nel ventre di San Siro

(@BassoFabrizio)

Eccolo il Komandante Vasco. Entra da una porta laterale della sala stampa che ospita un po’ di giornalisti. Occhiali a coprire lo sguardo, sorriso a infondere fiducia. Di fronte allo stadio, dove la temperatura comincia a essere caldamente impegnativa, ci sono già parecchie tende. Il suo popolo è pronto. C’è chi ha preso i biglietti per tutte le date. L’attesa si macina giocando a costruire la scaletta, cantando e dedicando pensieri a Massimo Riva, il chitarrista-amico di Vasco che è mancato proprio il 31 maggio di venti anni ed è ricordato, splendidamente, nel libro Massimo Riva vive! La vita rock dello storico chitarrista di Vasco scritto dalla sorella Claudia col giornalista e amico Massimo Poggini. Il dopo Modena Park non poteva che essere un altro record. E questo lo è. Lui si siede dietro una cattedra, come un vero prof, sembra guardarci negli occhi tutti e poi dice “Sono abituato a stare davanti a tante persone”. E ride.

L’avvio di chiacchierata segue la scaletta. Poi divaga, arrivano le domande, gli suggeriscono anche di non svelarla tutta la scaletta, anche se c’è già stata una data zero che poco lascia alla fantasia. Cominciamo con questi quindici giorni a San Siro. Quando canta la disperazione è già qui/c’è un solo modo che io conosco/la disperazione la soffochi con me c’è l’essenza di tutto: “Questo è il concerto di tutti -dice- la musica che consola, è forza comunicativa e di conforto. Quando canto non sciupare il tempo che forse non ce n’è guardatmi negli occhi e fidati di me io sono qui per te intendo che sul palco ti puoi fidare di me. Noi con la musica, col rock usciamo da questo mondo grigio, antipatico e pieno di rabbia, creiamo una fuga dalla realtà per una sera. Per tre ore. C’è un mondo che non ci piace e continua a essere quello che vorrei e poi diventa sempre peggio. Noi torniamo alla gioia. Spinoza sosteneva che il potere ha bisogno che le persone siano affette da tristezza, aggiungo che oggi anche da paura. Noi musicanti siamo qui per portarvi un po’ di gioia. E’ tutto qua ma è potentissima”.

Torniamo alla scaletta. In quella stanza dove stiamo chiacchierando fa caldissimo. Ma i pensieri non vanno in ebollizione: “La scaletta è sempre stata una ricerca –continua- per trovare le canzoni giuste che assicurino un’onda emotiva che duri tutto il tempo. Se si trovano le stesse emozioni contemporaneamente, quando accade con 50mila persone è bellissimo. Quest’anno è un concerto duro e puro, duro per i tempi e puro perché io sono puro”. Si comincia con Qui si fa la storia e la disperazione che soffochi con me poi c’è Mi si escludeva: “Io so cosa significa essere esclusi, ci sono passato. Bisogna capire i problemi degli altri. Il terzo brano è Buoni o cattivi perché continuiamo a giudicarci. Tutto dovrebbe unire e invece i giudizi dividono. La verità, quarto brano che eseguo, è la canzone dell’anno: oggi siamo nell’epoca della post verità. Io ho la faccia più tranquilla del mondo. Chi la spara più grossa ha ragione. È un brutto mondo. Non basta essere convinti di qualcosa perché sia vera. Quindi arriva Quante volte: non la facevo da tempo ed è la verità sulla mia condizione di vita. La vita non è facile, non è sempre bella. Con la musica si fugge dalla realtà. Come quando si legge”. Citazioni per Vivere o niente che non faceva dal 2011 e "ti lascia una bella botta di amarezza.
Fegato spappolato è stato il mio primo rap. O trap. Genere che non ascolto perché non fa parte del mio carattere".

Esce dalla traccia e si ferma un attimo. La sensazione è che già senta il boato dello stadio. Sa essere (auto)ironico: “Sei volte San Siro non lo aveva fatto nessuno prima di me, neanche Vasco Rossi. Sono felice del mio pubblico, si vede che si diverte e mi diverto anche io. Con i concerti resto lucido, sano e connesso al mondo. La musica è una grande consolazione. Il taglio è punk rock. Io sono qui dall’inizio degli anni Ottanta, anzi sono ancora qua: vivo, vegeto e sto anche bene. Ho seminato bene, ho iniziato nel 1978 e fino al 1984, 1985 ho preso solo insulti e molti da voi giornalisti. E dopo 24 anni tutte le star, anche le internazionali, devono bussare per entrare qui”. Cosa hanno di speciale le sue parole? La risposta è immediata: “Quando una canzone ti arriva al cuore è perfetta. Io non ho quasi difetti, sono praticamente perfetto. Il successo è una cosa straordinaria, è la conferma che quello che stai facendo è giusto. All’inizio lo cerchi poi diventa un po’ fastidioso e non puoi fare nulla. Quando divento un po’ ansioso e vado a Los Angeles a fare il normale, a guardare gli altri e non a essere guardato. Ciò detto io sono quello con le stesse fragilità e paure di sempre. I più guardano me ma non mi vedono. Io mi dico che sono qua in rappresentanza del mito. A Los Angeles ho un gruppo di amici e ci vediamo il sabato sera, faccio una vita sana, alle 23.30 vado a letto. Mi piace svegliarmi presto la mattina. Con gli anni cambiano le abitudini". La sua lettura della realtà è di una lucidità sconcertante. Per questo piace a quatto generazioni, perché è contemporaneo: “Da tempo in Italia -commenta- c’è la sensazione di uno stato di guerra e rabbia, di malessere e lotta tra poveri. Siamo comunque un’isola felice, due terzi delle persone che vivono in altri continenti muoiono di fame. Lo capisce anche un bambino che bisogna gestire la situazione, che non si può perdere umanità". 

Dopo Milano va in Sardegna per due concerti il 18 e 19 giugno. In Sardegna arriveranno 50 bilici "come avviene per una produzione internazionale che di solito salta la Sardegna perché fosse per certi promoter si farebbe tutto a Milano e Roma. Noi portiamo in Sardegna lo stesso show di San Siro. Uno sforzo molto grosso che ho preteso dalla mia organizzazione. Con Roberto De Luca di Live Nation lavoriamo insieme da 25 anni. Non si è mai fatto male nessuno, la sicurezza è fatta benissimo. E a proposito di secondary ticketing i veri truffati siamo noi". Si diverte quando vine trascinato nel mondo social(e): "All’inizio mi sono divertito sui social poi è diventato impegnativo, mi sembra di diventare dipendente. Negli anni Ottanta c’era la disperazione ereditata dalle idee rivoluzionarie degli anni Settanta. Anni di disillusione e disimpegno e io cantavo vado al massimo e la vita spericolata. Oggi la situazione è più cupa. All’epoca il lavoro non era un problema, oggi non c’è più quello che dura tutta la vita. Come si fa a restare duri di questi tempi? Io ho avuto la fortuna di non dovere fare troppi compromessi. Negli anni Ottanta le mie canzoni non si dovevano ascoltare, erano all'indice. Nello scrivere canzoni sono in estasi. Non scrivo per tanto per fare o per piacere a qualcuno ma per comunicare. Quando inizio non so neanche di cosa parlerà, viene fuori frase per frase. Racconto le mie verità personali, mi sfogo, confesso anche fragilità che non direi a un amico. Per stare su un palco devi essere nudo". Chiudendo il capitolo sardo da genova partirà la nave del Rock fino a Cagliari: la gente andrà ai concerti e poi dormira nella sua cabina, il Blasco è convinto che "ci si divertirà molto, volevo andare anche io ma devo stare concentrato".

Il 31 maggio di venti anni fa moriva Massimo Riva: "Lo ricordo sempre con tanto affetto, una parte di lui è sempre viva dentro di me. Era il mio fratello piccolo. Ancora non suonava la chitarra che già la teneva bene in mano. Però gliela tenevamo spenta così non faceva casino. Tra noi amicizia ma anche complicità artistica, era il mio Keith Richard. I cantautori facevano concerti minimi, prediligevano le parole: secondo me gli Ottanta avevano bisogno di spettacolo e io pensavo ai Rolling Stones. Quando è morto lo ho vissuto come un tradimento, era il mio chitarrista storico. Aveva iniziato una strada dalla quale non sarebbe più uscito senza smettere di suonare e cambiare vita. Si è sempre divertito molto, è vissuto come volva e morto come voleva è una vera icona rock". A proposito di drogasottolinea che "il divieto di vendere cannabis legale è una vergogna, non va insertrita nell’elenco delle sostanze stupefacenti. L'ostracismo è stato fatto negli anni Venti negli Stati Uniti da chi alimentava il mercato dell’alcol. Metterei la divisione lì: cannabis legale, le altre no". E' il momento delle prove e si allontana con un ghigno perché con questi sei fanno 29 San Siro in 29 anni. L'anno prossimo fa trenta, che inventerà il nostro Komandante?

Spettacolo: Per te