Achille Lauro si racconta: da Sanremo al nuovo album “1969”

Musica

Fabrizio Basso

Un viaggio con Achille Lauro nella modernità del 1969. Esce oggi il disco dell'artista romano cui seguiranno instore tour e tour vero e proprio. Quattro le linee sulle quali si sviluppa questo lavoro: uscire dalla confort zone, non estrapolare parole per deformare a proprio piacimento la realtà, il senso di responsabilità per gli impegni presi e l’onestà di sapere chiedere scusa. L'INTERVISTA

(@BassoFabrizio)

Parte la Rolls Royce di Achille Lauro. Oggi il disco, 1969, che è stato preceduto dal singolo C’est la Vie, e poi dal 3 ottobre il tour (debutto a Firenze), in mezzo l’instore tour e tante sorprese estive. Quattro le linee sulle quali si sviluppa questo lavoro, semplici ma nel contempo complesse da affrontare per quanto dovrebbero essere parte della nostra quotidianità: uscire dalla confort zone, non estrapolare parole per deformare a proprio piacimento la realtà, il senso di responsabilità per gli impegni presi e l’onestà di sapere chiedere scusa. Tutti pensieri che hanno graffiato la sua pelle e che ritroviamo nell’album. Lo ho incontrato per viaggiare più comodo nella sua Rolls Royce.

Partiamo da Sanremo?
Alcuni di voi giornalisti li hi conosciuti a Sanremo e siete stati un aiuto determinante per salire su quel palco e anche dopo per sostenere tutte le critiche. E’ importante che ci sia qualcuno che ci capisca perché deitro ogni canzone c’è tanto lavoro.
Ora stai meglio?
Mi sento per la prima volta al posto giusto al momento giusto con i miei suoni pescati nel passato, negli anni Sessanta e Settanta, la più grande epoca creativa, pregna di voglia di libertà e di cambiamento. A questo progetto lavoravo da un anno e mezzo, sono felice di quello che ho fatto.
Si sente tanto Rock’n’Roll.
Per me è più life style che state of mind.
Nelle canzoni si alternano disperazione e leggerezza.
L’album oscilla tra leggerezza e melanconia. Nella vita si attraversano alti e bassi e io nella vita cerco di fermarli entrambi.
Come?
Contaminando il sound e cercando di dare una direzione giusta. Il Rock’n’Roll è un figata perché è la fusion di tante cose. Rolls Royce deve essere un album generazionale.
Dove ti collochi musicalmente?
Nella ricerca di qualcosa di nuovo e innovativo. Non mi piace essere inquadrato e rifare le stesse cose. Nessun pittore dipingerebbe lo stesso quadro per tutta la vita, mi piace diversificare e mi è piaciuto portare a Sanremo un pezzo così diverso.
C’è tanta vita nei suoi testi.
La linea generale di una persona ne costruisce il carattere, tutte le esperienze finiscono in un calderone. Ci sono brani scritti in momenti difficili e io mi ritengo fortunato che li colgo e diventano musica. Assecondano la mia anima andando a zig zag in tutti i generi. Qui si parla di quote interiori, non è lo stesso che raccontavo nei dei dischi precedenti, qui c’è più melanconia generale che disagio.
Ha scritto un libro dal titolo ambizioso: Sono io Amleto edito da Rizzoli.
Il libro è la mia storia senza i vincoli di rime e musica. Ora posso affrontare una passione come una carriera ma c’è sempre da lavorare: mi ritengo un operaio, mi sono costruito il mio percorso lavorando ogni ora per sette anni.
Sente delle responsabilità?
Questo è il momento delle responsabilità verso le persone che lavorano al progetto. Anche verso il pubblico anche ma in quel caso ciò che io produco è una forma d’arte. L’artista ne ha di responsabilità ma non è un educatore, quella si fa in un’altra sede. Dire mi faccio una canna è libertà…se non è così allora tutti bisogna pensare che quelli che ascoltavano i Beatles si facevano di LSD. Certo le responsabilità ci sono soprattutto con i social, lì bisogna usare l’intelligenza ma quella andrebbe usata in generale.
Ci sono due featuring: Coez e Simon P.
Sui pezzi intimi non aggiungo qualcuno perché sono parte di me; in quelli un po’ più esuberanti ho tentato i featuring, tutti sono nati dall’amicizia. Simon P è un amico, meriterebbe un successo personale più ampio. Coez è passato nella villa che fermiamo tre mesi l’anno.
Ha duettato con Anna Tatangelo in Ragazza di Periferia: altre collaborazioni con lei?
Anna è con la voce è una Ferrari ma bisogna metterci la benzina giusta.
Sta lavorando a un documentario.
Sono appassionato di cinema. Per chi ci ascolta vedere la nostra evoluzione è figo. Nasciamo in una cantina.
Ed è arrivato a Sanremo. Smaltite le polemiche?
Le recensioni dopo l’ascolto erano buone, c’è stata molta attenzione. Sono arrivato molto motivato, ho capito che non era bella solo per me. Nessuno mi ha chiesto il significato, all’inizio non ho dato peso alle polemiche, dopo ho capito che era una gogna mediatica. Il tema droga è stato affrontato con superficialità mentre è reale. Se queste sono le premesse allora non lo si conosce, lavoriamo per istruire i ragazzi. Mi spiace molto quello che è successo intorno a un brano di rottura. Sia chiaro che questo è un lavoro completo e non si può prendere una frase e decontestualizzarla.
Perché come titolo ha scelto 1969? Nella cover ci sono figure iconiche di quelle stagioni.

Gli anni Sessanta e Settanta sono stati di grande cambiamento. James Dean è la gioventù sregolata, la Marilyn Monroe preferisce piangere su una Rolls Royce. Poi Jimi Hendrix con suo immaginario hippie e libertino. Infine Elvis Presley che ha contaminato la mia musica negli ultimi anni. Poi nel 1969 ci sono stati l’allunaggio, il primo cuore artificiale, Woodstock…e poi ho partecipato alla 69ma edizione del Festival di Sanremo.
A chi si rivolge?
Ho 28 anni e voglio parlare a tutti. Come ha fatto Vasco passando da Fegato spappolato ad Albachiara fino a Io e Te. I miei fan rimangono perché cambiamo sound e parole ma resta soprattutto uno stato d’animo. Poi è ovvio che conta chi lancia il messaggio. Vasco se dice siamo soli è importante…ma non tutti trasmettono la stessa emozione. Ma l’anima resta la stessa e infatti nel disco ci sono zone confort per i fan antichi.
Come sarà il tour?
E’  lo specchio del disco, è un cambiamento. Sono affiancato da una band, non è riarrangiare pezzi già fatti. Questa musica nasce con gli strumenti. Scrivere e registrare è andare dallo psicologo ma poi bisogna essere in tanti a cantarla.
E’ vero che sarà giudice a X Factor?
Sarebbe bello. Ho trascorso una giornata con Mara. Comunque davvero non si sa niente.
L’album termina con la canzone Scusa.
C’è sempre qualcuno cui chiederlo, anche a me stesso. Analizzando il testo c’è una riflessione sul tempo che scorre inesorabile.
Infine J’e T’aime. E’ dedicata a qualcuno? Il disco ha dediche?
Non ci sono quasi mai dediche, anzi ti dico che Je t’aime è in realtà un addio: amore ti amo e ti ringrazio ma  sto andando. Mica si fugge, va detto e spiegato. E’ una mia considerazione. Pensieri e stati d’animo riempiono i miei pezzi. Sono fedele a quello che penso e dico la mia sempre. Come dovrebbero fare tutti.

Spettacolo: Per te