Paolo Belli, "pur di fare musica" (ri)torna a Teatro

Musica
Paolo Belli
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Paolo Belli torna nei teatri di tutta Italia con Pur di Fare Musica, la commedia musicale scritta con Alberto Di Risio che ha riscosso unanime successo di critica e pubblico nelle prime due stagioni di programmazione e si accinge ad affrontare la terza. Lo abbiamo incontrato e intervistato

(@BassoFabrizio
inviato a Novellara)


Il confine tra Teatro Canzone e Teatro Vita è molto sottile ma esiste. Perché quest'ultimo comporta l'assunzione di dosi maggiori di polvere del palcoscenico. La conferma è arrivata a Novellara dove Paolo Belli ha inaugurato la sua terza stagione teatrale di Pur di fare Musica, uno spettacolo bello e coraggioso, perché Belli è riuscito a vestire in modo millennial il mondo del varietà. Via la naftalina e dentro ritmo e testi da terzo millennio. E il pubblico ha premiato il coraggio dell'artista di Formigine portando le repliche alla terza stagione. Anche questo è un dato da non sottovalutare visto che chi, oggi, raggiunge le due, è già guardato come un fenomeno. Con Paolo Belli, e un paio di bicchieri di lambrusco, abbiamo chiacchierato proprio sul palco, tra polvere di storia e polvere di poesia.

Cosa cambia nella storia in questa terza stagione?
Ho cercato di sviscerare ancora di più i problemi dei musicisti, i ragazzi che sono sul palco con me sono ancora più parte della storia.
C'è una missione?
Vogliamo far capire che la musica non è solo cantare e suonare, che chi non riesce a farsi strada in un talent può comunque lavorare nella musica: ci sono da curare le luci, i suoni, la regia, il palco...è un mondo.
C'è anche chi cura le chitarre dell'artista.
Lavoro difficile e di massima fiducia. Affidare le chitarre equivale ad affidare un figlio. Sto leggendo la biografia di Bruce Springsteen e spiega che la cosa più importante è la chitarra e quando la dai a un fonico o allo stage manager devi sapere che puoi fidarti in toto.
Insomma la musica non è un gioco.
La musica è il gioco più serio che ci sia. Ecco perché in Pur di fare Musica ho voluto integrare anche altri personaggi, farne un...gioco ancora più corale.
Lei è stato coraggioso: proporre il Varietà in versione moderna è stato un bel rischio.
Parto dal presupposto che il rischio in questo mestiere è quotidiano. A me ha portato grandi risultati.
Il più bello?
Qualche sera fa abbiamo cenato tutti insieme. Sa quanti eravamo?
No.
A tavola eravamo in 25. Sono tutte persone con figli, un mutuo da pagare e talvolta anche la rata auto. Riescono a costruirsi il loro mondo grazie al lavoro che svolgono con me. Devo dargli continuità, devo garantire loro un lavoro continuo. Il rischio c’è stato ma è stato vincente.
Anche il pubblico visti i risultati crede in lei.
E' motivante sapere che tanta gente crede in me. I teatri spesso li riempiamo col passaparola. Lo scorso anno alla prima data a Roma ci saranno state 200 persone e non eravamo felicissimi. La sera dopo 300 poi siamo cresciuti fino al tutto esaurito e alla fine volevano farci fare altre serate. Potere del passaparola.
E' felice?
Mi diverto, c'è continuità, vedo la crescita artistica di tutti. Sì, sono felice.
Ha pensato di esportare questa formula in televisione?
Ci hanno chiesto di farlo ma il progetto nasce per il teatro. Non posso negare che ci penso. Ma penso anche alle persone che lavorano con me e delle quali mi sento responsabile. Uno sbaglio ricadrebbe pure su di loro. Un giorno siederò al tavolo con qualche manager televisivo e vedremo se troveremo una formula, altrimenti Pur di fare musica resterà solo un viaggio teatrale.
Ha un forte senso della famiglia anche in ambito lavorativo.
Bruce Springsteen interpreta questa professione alla mia maniera: rispetto, famiglia, generosità. Sono conscio di essere un privilegiato.
Un privilegiato responsabile.
La E Street Band faceva la fame, agli albori della loro epopea cercavano cibo nei cassonetti dell'immondizia. L'alchimia la realizzi solo con la gente con la quale condividi palco, strada e pensieri per anni. E oggi per essere buoni alchimisti serve un bilancino ben tarato.
Quando si guarda allo specchio per cosa si complimenta con se stesso?
Parlo sempre con sincerità. Ho sempre agito con coerenza e questi comportamenti arrivano alla gente. Faccio quello che mi sento ma con responsabilità.
E' attivo sui social?
Il giusto. Mi piacciono ma preferisco il passaparola. E torno sul concetto di responsabilità: c’è gente che spende per essere qua. Io deve offrirgli due ore diverse.
Ha la percezione di raggiungere l'obiettivo?
Quando mi dicono "non pensavo fosse così bello" capisco che ho vinto la mia scommessa.
Cosa si porta con sé delle sue radici?
Il passato mi ha arricchito e arricchisce tuttora. Quello che mi spiace è che non abbiamo valorizzato la nostra cultura: guardi Cuba e l’Africa, hanno fior fiore di musicisti che rappresentano un paese. Noi abbiamo individualità forti celebri all'estero ma non un altrettanto forte senso di orgoglio e appartenenza culturali.
Cosa ascolta?
La Spanish Harlem Orchestra, ensemble di jazzisti. Se la musica è fatta bene ascolto tutto l'album non mi sento di selezionare. In passato ho avuto i periodi: quello per Mike Oldfield poi il Banco e la Pfm. Ora ascolto e basta. Però dovessi andare su un’isola deserta saprei che dischi portare.



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