La storia degli anni Novanta raccontata da Stefano Fontana Stylophonic

Musica
Stefano Fontana Stylophonic
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Gli Anni Novanta hanno una forza di attrazione speciale. Mentre prosegue su Sky Cinema Anni Novanta (canale 303 fino al 31 luglio) il ciclo di film di quel decennio, un suo protagonista, STEFANO FONTANA STYLOPHONIC racconta in esclusiva quel periodo della sua vita, quella impareggiabile stagione di musica, di cui molti echi si ritrovano nel suo ultimo album We Are. LEGGI L'ARTICOLO DI STEFANO FONTANA

Se penso agli anni ’90 mi viene subito in mente il Plastic, locale storico di Milano dove ho esordito come dj e in cui ho lavorato per tanti anni. E’ stato un decennio molto importante per la musica dance e per le case discografiche: gli anni ’90 hanno permesso a tutti i dj di esprimersi in un modo più libero e non forzato da generi e stili musicali, nuovi gruppi nascevano da contaminazioni tra jazz, soul, funky che con le sue ritmiche spezzate trovava una nuova veste mischiandosi all’elettronica e diventando il fenomeno Big Beat, Breakbeat, Drum & Bass, New soul.

Gli anni ’90 hanno visto nascere e definirsi gruppi storici che hanno cambiato totalmente il modo di approcciare la musica dance: il passaggio dall’underground all’overground è avvenuto proprio in questo decennio svoltando, cambiando totalmente le regole del gioco, facendo nascere case discografiche indipendenti che poi furono assorbite dalle Major che, infatti, capirono abbastanza velocemente che se non avessero dialogato con queste nuove realtà avrebbero perso un treno molto importante, forse definitivo, visto poi come la figura del dj/produttore si è trasformata in seguito.

Cito alcuni gruppi per me importanti come The Chemical Brothers, Daft Punk, Letfield, Underworld, Orb, Orbital, Basement Jaxx, Groove Armada, FatBoy Slim, Cassius e Prodigy. Alcuni di loro sono ancora in attività e resistono al cambiamento sempre più veloce dei generi e degli artisti coinvolti nel music business.

L’House Music, il genere che ho sempre prediletto da suonare nei club, prendeva sempre di più le distanze dalla techno soprattutto per la velocità. Così, da una parte, la techno si appropriava sempre di più di posti di grandi dimensioni (rave party o mega discoteche), mentre i club come il Plastic spesso diventavano i territori dove sperimentare il suono House nato a Chicago, New York, e poi esportato a Londra, da dove si è diffuso a macchia d’olio in tutta Europa.

Sovente capitava di sentire un dj suonare un canzone House, poi Breakbeat, poi Funk e poi ancora House. C’era sempre uno schema da seguire ma poteva variare con più facilità, con il risultato di far divertire di più la gente anche e soprattutto con canzoni o brani strumentali sconosciuti che da lì a poco sarebbero diventate delle hit mondiali.

A differenza di oggi capitava, infatti, di ascoltare in radio delle tracce assolutamente underground che qualche ora dopo si sarebbero ascoltate anche nei club, grazie ad un movimento così importante come quello Dance che aveva definito dei nuovi confini. Ricordo con chiarezza che brani come “Hold me Back” dei WestBam, “French Kiss” di Lil Louis o “The power” degli Snap, The Bucketheads con “The Bomb”, Gusto con “Disco Revenge” o “Missing” degli Everything But The Girl remixata da Todd Terry erano in heavy rotation (lo so, definizione molto datata ma che rende bene l’idea) sia nelle radio che nei club più cool del mondo.

In tutti i miei album sono sempre stato ispirato dalla produzione e dal suono di questo decennio e vorrei che fosse “fotografato”, rivisto, riletto, perché è stato talmente radicale, totalizzante, che ogni volta che si riascoltano i brani di artisti dell’epoca si può scorgere un dettaglio inedito che può essere la chiave di volta per un ennesimo svolta musicale. We Are, il mio nuovo album, affonda decisamente nelle radici del funk fine anni ’80 ma guarda inevitabilmente anche agli ’90 come premessa di un suono che stava arrivando con tutta la sua forza. Ecco, questa forza di cui parlo, ho provato a trasferirla nel disco cercando di non fare assolutamente un operazione nostalgia ma anzi proprio al contrario, partendo da uno spunto, da un dettaglio che ho ascoltato nelle produzioni dei Master At Work, idoli, geni di New York, nati a fine degli anni ’80 ed esplosi negli anni ’90: ho prodotto una serie di canzoni/tracce che suonano attuali ma che rispecchino il mio background musicale che si è proprio definito negli anni ‘90 così liberi, creativi e pieni di ispirazione.

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