Rock in Redazione, The Leading Guy: l'INTERVISTA

Musica

Fabrizio Basso

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Chi crede che la musica d'autore sia sul crinale del tramonto deve ascoltare The Leading Guy, uno dei pochi capaci di tradurre in musica emozioni e quotidianità. Il suo ultimo singolo è Times. E' venuto a trovarci in redazione

(@BassoFabrizio)

Scivolare nelle pieghe della vita accompagnati solo da una chitarra oggi non è facile. E' un azzardo ma di quelli belli. Ne è protagonista The Leading Guy, all'anagrafe Simone Zampieri, che declina la vita con la sua musica. E' un cantautore moderno ma con radici profonde. Che affondano nella terra e nell'anima. Non per nulla quel segugio da talenti che è Luigi Vignando, manager musicale del Nordest, lo ha adottato e insieme hanno avviato un percorso fatto di Europa e in italia. E che in una delle sue tappe lo ha portato nella nostra redazione. Redattore per qualche ora, The Leading Guy.

Chi è oggi un folk singer?
Un artista un po’ fuori dal tempo, credo che chi scrive o frequenta il folk abbia necessità di raccontare un po’ di eternità. Molto e poco. Peccato che tutto viene considerato come pop anche se le radici sono folk.
In Italia purtroppo si tende a categorizzare tutto?
Resti sempre quello che sei all’inizio, solo i grandi sono liquidi, cambiano: cito David Bowie, Lou Reed e l'ultimo John Lennon. Beck forse è l'ultimo non catalogabile. Altrimenti devi sempre decidere cosa fai.
Perché non va all'estero? Con la sua musica potrebbe.
Rimanere in Italia non è difficile per vivere ma lo diventa per chi fa il mio mestiere e per la comprensione che talvolta ha il pubblico.
Cosa non le piace?
L'Italia crea prima il personaggio e poi le canzoni. Mi piace poco.
Come lavora?
Ho sempre scritto cercando di escludere le canzoni brutte.
Che non è poi così scontato.
Ogni tanto ne nascono di belle, altre nascono brutte. Col tempo si impara a capire quando una canzone è bella.
Nel 2015 pubblica Memorandum ed è una illuminazione.
Un lavoro autobiografico e di autoanalisi, ero spaventato all'idea che potesse non interessare. Dolori e gioia si equivalgono.
Come si definisce?
Un artigiano: il primo album è nato a conseguenza di un viaggio, andavo verso Est attraversando zone che di solito sorvoliamo. Chi scrive canzoni deve avere una sensibilità di approccio.
E' un animo inquieto?
Scherza? Sono pigrissimo, è la musica che mi fa muovere. Partire è sbuffare ma poi non tornerei più.
Vive a Trieste.
Città che per me è radici e libertà. A livello geografico Trieste è fantastica, tra mare e collina. Città chiusa, con una apertura verso l’Est.
Ora che succede?
Entro la fine dell’anno partiranno i live, ci stiamo ragionando ora. Più musicisti con me sul palco. Penso a uno show diverso. Quello che ora canto è nato dopo il precedente tour, ora parlo più degli altri, sono meno introspettivo. Ha meno filo conduttore, più canzoni singole. Ma sono sempre io.
Quando scrive?
Provo a scrivere ogni giorno qualcosa, ma al momento giusto tutto esce in una settimana. Non riesco a dilatare. Raccolgo spunti che puntualmente finiscono nel cestino. Poi ci torno e vediamo cosa resta.
Land of Hope: quale è la sua terra della speranza?
La terra promessa fisicamente non c’è. Lo stare bene deve essere mentale e non fisico: io lo trovo nella musica, altri nella meditazione o nello yoga. La terra delle speranze non sempre è bella, puoi anche starci male.
Torniamo al tema estero: non sarebbe più facile per il tipo di musica che fa? Perché torna?
Torno perché ho una famiglia. Torno per sfida. Non voglio trasferirmi all’estero per diventare qualcuno. Io in Italia alla fine ci sto bene, Se proprio fossi costretto a fuggire andrei in Irlanda.
E' social?
Considero i social una forma di comunicazione.
Cosa ascolta?
Mai cose mie tranne i giorni di dylanite. Cerco cose molto diverse: da Peter Gabriel agli Ac/Dc.
Il tempo libero?
Mi raggiunge a a folate. Mi piace camminare, una volta giocavo a calcio ma ho smesso per la musica. Leggo molto.
Cosa è la musica?
La colonna sonora nella vita delle persona, non può cambiare in maniera totale una esistenza ma può cambiare qualche pomeriggio. Questi non sono anni utopici bensì sciapi.
Senso di responsabilità? 
Dovrebbe esserci negli atteggiamenti. Ma gli artisti a volte sono presi troppo sul serio, siamo persone.
Un concerto che le ha cambiato la vita?
Wilco visti a Berlino. Non avevo mai fatto musica, hanno cambiato il mio modo di fare le cose.

 

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