Greta. Il fascino gelido di Isabelle Huppert

Recensioni sky cinema

Alessio Accardo

Neil Jordan dirige Isabelle Huppert e Chloë Grace Moretz in un intenso thriller dalle venature ossessive. Rimasta sola, Greta prende a benvolere la giovane e fragile Frances, che in un primo momento apprezza l’aiuto e le attenzioni della donna. Presto Frances scopre aspetti inquietanti di Greta e vorrebbe interrompere ogni contatto, ma la donna non ha la minima intenzione di permetterlo… Appuntamento martedì 19 aprile alle 21.15 su Sky Cinema 2 e in streaming su NOW. Disponibile su Sky Cinema 4K e anche on demand

Presentato nel 2018 al Toronto International Film Festival, arriva direttamente sui nostri schermi Greta, l’ultimo lungometraggio del regista irlandese Neil Jordan, divenuto celebre grazie a un pugno di pellicole girate negli anni ’90 come Intervista col vampiro, Michael Collins e soprattutto La moglie del soldato, per cui vinse anche un Oscar per la miglior sceneggiatura originale. Un film in cui il regista irlandese indaga ancora una volta il buio nell’anima, per citare un altro dei suoi titoli più noti. Il viaggio dentro i più oscuri recessi di una mente pericolosa. Un thriller psicopatologico, intinto nell’horror.

Frances Mc Cullen è di Boston ma vive a New York con una collega d’università. La interpreta Chloë Grace Moretz, la giovane attrice nata ad Atlanta che, dal suo film d’esordio, Amityville Horror, al recente Suspiria del nostro Guadagnino, ha una filmografia tutta inscritta all’interno del cinema dell’orrore.

Greta è una sophisticated lady transalpina, sola. Abbandonata dalla figlia, che ora vive a Parigi, e ha perduto il marito, che suonava l’organo in chiesa ogni venerdì. Persino il cane è morto. La matura signora ammazza il tempo suonando Liebestraum: un sogno d’amore di Franz Liszt al pianoforte, l’unico apparente conforto dentro una vita dominata da un’insopportabile solitudine. La interpreta Isabelle Huppert, superlativa attrice francese che ha lavorato spesso e volentieri con uno dei più raffinati autori delle “nouvelle vague”, Claude Chabrol, e che da qualche anno si è specializzata in ruoli di affascinanti donne gelide, sottilmente inquietanti e vagamente devianti. Due titoli su tutti: La pianista di Michael Haneke e Elle di Paul Verhoeven. 

Qui è bravissima a restituire tutti i chiaroscuri di un carattere complesso e disturbato, sinistramente sfaccettato: è insieme fragile e violenta, affabile e losca, decorosa e sfrontata. Gelidamente imperturbabile. Una donna borghese, che dietro la patina di un educato perbenismo cela un’anima nera, pericolosa; nella quale, grazie alla classe della fuoriclasse parigina, la bellezza compassata trascolora in un lampo in un’inquietante presenza spettrale.

La trama del film viene innescata dal ritrovamento di una borsetta in metropolitana: individuata la legittima proprietaria, Greta, Frances si affretta a riconsegnargliela. Tra le due donne nasce immediatamente una simpatia reciproca, dal momento in cui scoprono di condividere un lutto: anche la mamma di Frances è morta da poco, ciò che la rende fragile e vulnerabile, una vittima perfetta insomma.

La giovane provinciale si accorge, infatti, ben presto di essere oggetto delle ambigue attenzioni della più anziana signora, che prende a corteggiarla in maniera ambigua, alla stregua di un autentico stalker; un approccio morboso che dapprima lascerebbe pensare a un tentativo di seduzione saffica.

A segnalare il primo indizio stridente è il primo turning point, quando, aprendo per caso un armadio, Frances scopre che la sua nuova amica possiede un’enorme quantità di borsette uguali, identiche a quella che aveva trovato in metropolitana. Come le scarpe del nevrotico protagonista di Bianca di Nanni Moretti. E il film inizia così a tingersi di giallo: una discesa agli inferi dentro una violenza psicologica da psico-thriller, che fa pensare a certi film di Hitchcock come Rebecca - La prima moglie o Il sospetto.
 

Si rappresenta come una donna sola e disperata, Greta: per compiere la parabola di seduzione della sua preda non si perita di utilizzare l’arma del ricatto morale. Un tampinamento ossessivo, fisico e virtuale, da far spavento; in cui il carnefice si camuffa da vittima, il lupo si traveste da cappuccetto rosso. Quindi il pedinamento si fa sinistro e inquietante, la detection tossica. La insegue dappertutto: sta ore a fissarla davanti al suo luogo di lavoro, sale sulla sua stessa metropolitana, si apposta sul pianerottolo di casa sua. La tensione tra le due donne sale fino a diventare insostenibile, e il regista, Neil Jordan, è bravissimo a usare tutte le sfumature del noir per descrivere quel progressivo trapassare, quasi impercettibile, dal bisogno d’amore all’offerta di odio. Lo fa, principalmente, usando il volto dell’attrice francese come fosse la tavolozza di un pittore, sfruttandone il baluginare folle degli occhi, la micro-mimica facciale articolata in minuscole smorfie. Ma anche la danza marionettistica da ballet mécanique del prefinale.
 

Il resto è affidato a un uso sapiente della colonna sonora, composta dallo spagnolo Javier Navarrete che nel 2007 ha ottenuto una nomination all'Oscar per le musiche de fantasy-horror Il labirinto del fauno di Guillermo del Toro.

Man mano che la trama del mistery si dipana, si scoprirà che niente è quel che sembra. La realtà descritta si farà sempre più inafferrabile, tra deliri onirici, mistificazioni telematiche e matrioske drammaturgiche. Come psico-thriller comanda.
 

Post-scriptum. Trivia per i cinefili: in un piccolo ma decisivo ruolo torna qui l’attore nordirlandese Stephen Rea, che ne La moglie del soldato interpretava il militante dell’I.R.A. Fergus (lui che nella vita è stato davvero un leader del movimento 

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