Intervista a Roberto Recchioni, il "Monolith" del fumetto italiano

Cinema

Massimo Vallorani

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In occasione della prima tv di Monolith (su Sky Cinema Uno, mercoledì 29 novembre alle 21.15) abbiamo sentito Roberto Recchioni, ideatore della graphic novel e della pellicola. Ecco cosa ci ha raccontato

Forse per la maggior parte dei non adetti ai lavori il nome di Roberto Recchioni può non dire molto. Invece se scaviamo un po'più in profondità, scopriamo che Recchioni è "de facto" la persona più influente all’interno del panorama fumettistico italiano. Suo il merito di aver trasformato la Sergio Bonelli, sua l'intuizione di creare con la Cosmo, il primo primo universo fumettistico tutto italiano, sua l'idea di creare una crossing tra cinema e fumetti con il film Monolith che approda per la prima volta in tv, mercoledì 29 novembre alle 21.15 su Sky Cinema Uno. E proprio su questo film, uscito al cinema grazie alla Vision Distrubution, abbiamo intervistato Roberto Recchioni. Ecco cosa ci ha raccontato.

E’ nato prima il film o il fumetto? E come stato il passaggio dal fumetto al film?
Diciamo che le cose non dovrebbero essere messe in questo modo. Non c'è stato nessun passaggio dal film al fumetto, essendo due cose ben distinte. E’ nata un' idea che è sfociata nel fumetto e nel film. Due progetti paralleli ma non intersecabili. Il primo è stato scritto da me insieme a Mauro Uzzeo e disegnato da Lorenzo LRNZ Ceccotti. Il secondo, è diventato un film diretto dalle sapienti mani di Ivan Silvestrini.

Monolith sembra costituito da tre elementi: una giovane madre ansiosa con il figlio di due anni, la macchina più sicura che sia mai stata progettata e il deserto. Ma l'elemento forse che dovremmo aggiungere è quello della sicurezza a tutti i costi. Una vera e propria ossessione che finisce per diventare una gabbia per la protagonista Sandra. È un problema molto attuale. Lei cosa pensa di questo?
Sicuramente il tema della sicurezza è un problema centrale sia nel fumetto che nel film. La Monolith, l'auto ipertecnologica alla cui guida c'è Sandra, è davvero stata pensata per essere la macchina funzionante più sicura al mondo. Ma il vero problema è che la giovane ragazza non è in grado di comprendere tutta la complessa tecnologia che c'è dietro. L'auto, a questo punto, diventa una prigione per il suo David, non perché il sistema operativo Lilith sia cattivo o impazzito ma perché Sandra non ha la chiarezza di idee necessaria per mantenere il controllo, finendo per prendere una decisione sbagliata dopo l’altra. Monolith, in fondo è soltanto un'automobile, e come tale può essere usata bene o male come un coltello può essere usato per tagliare il pane o uccidere. Il vero problema sta proprio qui. nel modo in cui sappiamo usare al meglio le nuova tecnologie.

Oggi, per l'appunto, si parla molto di Intelligenza Artificiale. E' secondo lei un pericolo oppure un' opportunità?
Come spesso succede la soluzione sta nel mezzo. Le intelligenze artificiali sono già presenti nel nostro mondo e lo saranno sempre di più. L'importante è che le "macchine" non parlino tra di loro e siano controllate dall'uomo. Il senso di responsabilità e di controllo deve essere adeguato.

Altri messaggi del film ci sembrano dire che accanto al discorso sulla tecnologia c'è anche quello su come essere genitori oggi. Le sembra corretto?
Sicuramente. Io penso che gli sceneggiatori del film hanno voluto dare risalto a questa tematica. Sandra all'inizio del film non accetta il suo ruolo di madre del piccolo David. Poi dovrà lottare per difenderlo lottando con la  stessa Monolith, auto inespugnabile che la separa da suo figlio.

Come è nata l'idea di Monolith?
Principalmente dai fatti di cronaca che ogni estate si leggono sugli organi d'informazione. Ovvero di quei genitori che per negligenza abbandonano i propri figli nelle loro automobili. A questo ho aggiunto una mia particolare riflessione sulla tecnologia e su quel difficile equilibrio tra libertà personale e sicurezza.

Ci sono dei riferimenti filmici a cui si è ispirato?
Beh, l'automobile è sempre stata una protagonista nel mondo del cinema. Forse, se devo pensare ad un mio personale riferimento, la prima fonte d'ispirazione è sicuramente Duel di Steven Spielberg. Però mentre questo film capolavoro è tutto basato sul movimento tra un automobilista e un camion che lo perseguita, in Monolith vince la staticità tra una macchina impenetrabile ferma in mezzo al deserto. Per quando riguarda, invece, i riferimenti estetici l'ispirazione è sicuramente 2001. Odissea nello Spazio di Kubrick.

Su cosa sta lavorando adesso?
E appena uscito il mio terzo romanzo YA - L'ammazzadraghi, poi sto lavorando al primo libro della nuova linea a fumetti della Feltrinelli, porto avanti il mio impegno come direttore di Dylan Dog e stiamo proseguendo con il progetto 4Hoods, presentato al Lucca Comics & Games 2017 e che diventerà una serie a partire dalla primavera del 2018.

Un'ultima domanda. Secondo lei il film Monolith può essere un esempio valido per altre produzioni simili?
Io penso che il cinema italiano sia sempre stato, per così dire, "diverso" rispetto a quello degli altri Paesi. Ha inventato lo spaghetti western o il poliziesco anni 70, tanto per fare due esempi. Oggi, seguendo la scia di pellicole come Lo chiamavano Jeeg Robot o di Veloce come il vento, anche Monolith si inserisce nel tentativo di dimostrare che un cinema italiano diverso è davvero possibile.  

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