A 5 anni dalla morte di Francesco Rosi, Sky Cinema Due ricorda la sua grandezza omaggiandolo con tre film: C’era Una volta, La tregua e Cadaveri eccellenti. Appuntamento venerdì 10 gennaio a partire dalle 14.45 su Sky Cinema Due
Il 10 gennaio 2015 se ne andava Francesco Rosi, il regista e sceneggiatore italiano che ottenne in carriera vari riconoscimenti italiani e internazionali, tra cui l’Orso d’oro alla carriera a Berlino nel 2008 e il Leone d’oro alla carriera a Venezia nel 2012. A 5 anni dalla morte, Sky Cinema Due gli rende omaggio con tre film dalle 14.45 al preserale: la rivisitazione del mito di Cenerentola nella Napoli del '600 C’era Una volta, con Sophia Loren e Omar Sharif; l’adattamento del romanzo di Primo Levi in cui racconta del suo ritorno in Italia alla fine della Seconda guerra mondiale La tregua con John Turturro; e il film di denuncia Cadaveri eccellenti, ispirato al romanzo Il contesto di Leonardo Sciascia.
Francesco Rosi era nato a Napoli il 15 novembre del 1922, una manciata di mesi dopo Carlo Lizzani, appena più vecchio di Franco Zeffirelli che divise con lui gli esordi sul set di Visconti, poco dopo che Lizzani imparava invece l'alfabeto del cinema da Rossellini. A raccontarla oggi sembra la vita di artisti mitici, appena ammantati dalla gloria del loro tempo e del loro talento, ma Rosi era invece combattivo, vitale, rabbioso e generoso come i suoi film, fino all'ultimo girato.
Figlio di borghesi napoletani (il padre gestiva una compagnia marittima), laureato in legge, attratto da una carriera di illustratore per bambini che gli rimarrà in fondo all'anima, il giovane Francesco ha per amici intellettuali e politici come Raffaele La Capria, Giuseppe Patroni Griffi, Giorgio Napolitano, Luchino Visconti. È il grande regista, incontrato a Roma subito dopo la guerra, a scovare la sua piena vocazione al cinema. Rosi sarà assistente di Visconti per La terra trema (1948), sceneggiatore di Bellissima (1951), collaboratore in Senso (1953). Tre anni dopo dirige il suo primo film, La sfida. Se l'esordio è debitore del taglio neorealista del primo Visconti e il successivo I magliari fa i conti con la trasformazione di quel movimento verso diversi territori del realismo, con Salvatore Giuliano (1962) nasce uno stile che è originale e molto imitato. Si è detto film-inchiesta perché a dittatura della verità porta il regista a muovere sempre da indagini scrupolose, ma con gli occhi di oggi quei film segnano lo spartiacque tra il cinema-documento e il cinema della finzione.
Non era stato così ai tempi di Paisà e Ladri di biciclette in cui il tema della distanza tra verità e ricostruzione non si poneva. Rosi lo pone facendosi forte della tenacia del giornalista, del rivendicato soggettivismo dello storico e della libertà dell'artista. Nasce con lui una nuova nozione di realismo che si confronta anche con lo stile del miglior cinema americano: una scuola che Rosi non ha mai negato, tanto da non farsi scrupolo di averne i grandi interpreti come Rod Steiger, quando altrove ricorreva a non professionisti o al suo attore-feticcio Gian Maria Volonté. E non a caso chi parla di una scuola italiana del noir, accosta il nome di Rosi (e di Sciascia) al percorso del noir americano d'impronta sociale. Sui film di Francesco Rosi, in una carriera che non può essere certo limitata alle grandi inchieste (basta pensare al filone storico da Uomini contro a La tregua, da Cadaveri eccellenti a Cristo si è fermato a Eboli).
Una vita intera dedicata al cinema che gli hanno regalato il Leone d'oro per Le mani sulla città, la Palma di Cannes per Il caso Mattei, la Legion d'onore, i tributi alla carriera di Locarno e Berlino, per non parlare di Grolle, David, Nastri, caduti a pioggia su ogni titolo della sua formidabile filmografia. Senza dimenticare il Leone d'oro alla carriera ricevuto a Venezia nel 2012. Premi che ci ricordano, a cinque anni dalla sua scomparsa, che Francesco Rosi rimane uno dei più grandi registi del 900 italiano.