IL CINEMA CHE NON CONOSCI: Detroit di Kathryn Bigelow

Cinema

M.Beatrice Moia

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Il cinema che non conosci si propone di aiutare a far scoprire quei film “minori” che, per budget o per scelte tematiche, rimangono un po’ nell’ombra mentre meriterebbero di avere spinte promozionali più significative e impulso distributivo più ampio e convinto. Come Detroit di Kathryn Bigelow, in questi giorni al Cinemino di Milano . A seguire la recensione  del film.

Detroit, Michigan, 1967. Al centro del film di Kathryn Bigelow ci sono gli scontri razziali avvenuti in città. Sparatorie, rivolte, incendi di interi quartieri. Giorni di fuoco. Per fermare la sommossa – la più sconvolgente avvenuta negli Stati Uniti dai tempi delle Guerre di Secessione - deve intervenire l’esercito: decine di morti, oltre un migliaio di feriti. Per giorni le vie diventano un campo di battaglia. La regista concentra l’attenzione sul Motel Algiers, dove la polizia uccide tre ragazzi di colore. Tutto inizia come in un tragico gioco. Gli agenti si mobilitano per uno sparo proveniente da una stanza del motel. Ma si tratta di uno stupido scherzo di alcuni ragazzi di colore con una pistola giocattolo. Dopotutto sono solo "piedipiatti picchia negri” che in fondo qualche manciata di terrore se la meritano. Solo un gioco infantile a cui gli agenti, ragazzi come loro, rispondono allo stesso modo, giocando appunto ai poliziotti cattivi. Come si fa da bambini. Ma se a un bambino lasci una pistola carica, devi mettere in conto che, forse, per gioco appunto, un colpo potrebbe partire. I poliziotti però non sono bambini e quelle che hanno nella fondina non sono pistole giocattolo.

Larry è un ragazzo afroamericano. È un cantante pop e spera di poter sfondare presto con la sua band. Una notte, a causa degli scontri e del coprifuoco, non riesce a rientrare a casa e si rifugia al Motel Algiers con l’amico Fred.                                                                                                       

Krauss è un comandante della polizia locale di Detroit. È un ragazzo come Larry. Krauss guida il “gioco al massacro” in quella maledetta notte. È bianco e ha un fucile. Le regole del gioco, quindi, le decide lui. Stabilite le regole, il sadico gioco ha inizio.                                                               

 Larry, Fred, gli altri ragazzi neri e bianchi ospiti del motel vengono messi faccia al muro. Devono confessare chi nasconde l’arma, la pistola giocattolo, da cui è partito lo sparo. Krauss porta i giovani, uno alla volta, in uno stanzino per l’interrogatorio. E spara: “Fai finta di essere morto e non fiatare”, intima ai ragazzi interrogati. Gli altri, quelli al muro, forse si spaventeranno e confesseranno. Poi il ruolo di torturatore passa a un altro poliziotto. È la sua occasione da protagonista. “Hai mai ucciso un negro?”, chiede Krauss al collega. E quello si chiude nello stanzino. Si sente uno sparo. Ma il colpo questa volta uccide. Non erano queste le regole del gioco. Ora si mette male. Nessuno deve sapere cosa è successo. Krauss è nei guai e per paura o per rabbia, forse perché non vede altre vie d’uscita, spara anche lui. Una volta, poi due. Fine dell’insulsa e atroce rappresentazione. Fred è una delle vittime. Ora non ci sono più ragazzi, non ci sono più bianchi, non ci sono più neri. Solo povere vittime di una grande tragedia di cui loro, in quel momento, non comprendono ragioni e dimensioni.

 

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