Per il Terzo Segreto di Satira "Si muore tutti democristiani"

Cinema

M.Beatrice Moia

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In programmazione questa settimana al Cinemino di Milano e in tante altre sale italiane, il primo lungometraggio del trio comico "Il Terzo segreto di Satira", intitolato SI MUORE TUTTI DEMOCRISTIANI. Di seguito la recensione del film.

Stefano, Fabrizio ed Enrico sono tre precari in cerca di stabilità. In tutti i sensi. È quello che sembra suggerire il film del trio comico Il Terzo segreto di Satira al loro primo lungometraggio. Alla soglia dei quarant’anni, i tre protagonisti si rendono conto di come tutta la loro vita sia stata una confusione totale. Tanto che ora si ritrovano con stipendi “più bassi di quelli di un operaio romeno” (come rinfaccia il suocero a uno dei tre), con convinzioni politico-sociali ondivaghe e con una vita privata tutt’altro che consolidata. Sono artisti, “fanno cinema”, o meglio, vorrebbero farlo occupandosi di tematiche sociali, con documentari e film di un certo spessore. Ma riescono solo a lavorare come video-maker per i ricevimenti di nozze e per incerti spot pubblicitari low budjet. Finalmente si presenta l’occasione della vita. Cinquanta K a testa per un progetto sponsorizzato dalla onlus “Africando”. Peccato, però, che dopo poco tempo dalla proposta di lavoro, i responsabili dell’associazione vengano accusati di riciclare i soldi per scopi privati…Ora è dura per Stefano, Fabrizio ed Enrico. Di quei soldi avrebbero tanto bisogno. Ma la coscienza cosa dice? E così, la breve parentesi di stabilità sembra subito evaporare.

Una vita da precari. Durante gli anni dell’università erano schierati con i giovani comunisti. Tempo di occupazioni, del G8 di Genova, delle manifestazioni di piazza. Eventi che coinvolgevano corpo e mente perché loro, sui diritti sociali, non arretravano di un passo. O quasi. Andando verso Genova, avevano fatto tappa a Sestri Levante e, tra un tuffo e un po’ di tintarella, la tappa si era prolungata più del previsto. E il G8?  Non l’avevano neppure visto. Poi la scelta di intraprendere una carriera “artistica”. Si ingranerà un po’ alla volta, l’importante – si dicevano - è occuparsi del sociale e del prossimo. Investire soldi per creare lavoro non il contrario. E poi il resto arriverà da sé. E invece, a quarant’anni, sono ancora al punto di partenza. Poi, per fortuna c’è chi ha conosciuto la figlia di un immobiliarista milanese e si è sistemato così…e chi invece ancora arranca.  E ora, cosa fare dinnanzi alla proposta di “Africando”? Seguire i propri presunti ideali sinistroidi o “morire democristiani” e quindi, come il film suggerisce, mettere da parte i valori per intascare quel compenso tutt’altro che trasparente? Il messaggio finale sembrerebbe suggerire la necessità di barcamenarsi alla faccia dei valori e della coscienza secondo la peggiore vulgata italica. Una chiusa che lascia in bocca un sapore amaro, come alla fine di un confronto di cui si vorrebbe evitare la deriva forse più realistica ma anche meno nobile.

 

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