Rivedere i Cult: Ultimo tango a Parigi

Cinema

M.Beatrice Moia

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Tra le proposte del Cinemino di Milano, anche importanti cult d’autore che è sempre bello rivedere o riscoprire perché permettono di rifare il punto su storie, ideali e modi di vedere appartenenti a un passato lontano. Tra le proposte di questa settimana Io e Annie e Manhattan di Woody Allen e MalaMilano-Milano Rovente di Umberto Lenzi. La scorsa settimana grande fonte di richiamo è stato Ultimo Tango a Parigi di Bernardo Bertolucci. Di seguito, la recensione del film.

Leggendo ciò che è stato scritto su “Ultimo tango a Parigi” è inevitabile notare i termini con cui, un po’ ovunque, è stato etichettato: “scandaloso”, “trasgressivo”, pellicola foriera di insofferenza esistenziale ed erotismo gratuito, frutto di una passione folle, carnale e maledetta. Noto per essere stato ritirato dalle sale e censurato, fino ad arrivare alla distruzione del negativo, è definibile come il film “scandalo” degli anni Settanta. Ma quello che faceva rumore in quegli anni, oggi non vale più. Proposto a uno spettatore d’oggi, un millenial per esempio, “Ultimo Tango a Parigi” potrebbe quasi deludere le aspettative. Perché? È meglio o peggio? Siamo davvero abituati così tanto al perverso, al trasgressivo, a ciò che dev'essere sempre e comunque “fuori dagli schemi"? Sì, purtroppo. O meglio, ci "hanno" e ci "siamo" abituati a esserlo. Tanto che un giovane che oggi vede “Ultimo Tango a Parigi” alla fine, perplesso, si chiede: “Tutto qui?”. E la perplessità nasce dal trovare quasi più normale e abituale frequentare una persona semi sconosciuta per il solo obiettivo di avere una relazione sessuale senza "complicazioni" affettive, piuttosto che privilegiare rapporti stabili e duraturi in cui apprezzare, insieme al corpo, anche la persona, con tutta la sua umanità.

Bertolucci nel film sembrerebbe sottolineare il paradosso della vita di Jeanne: fuori dall’appartamento (nella vita vera) è l’attrice di una fiction e nell’appartamento (il nascondiglio dalla vita vera) è se stessa. Paradosso che oggi potrebbe quasi essere ribaltato. La vera e duratura storia d’amore si potrebbe pensare esista oggi solo al cinema. Nei nostri appartamenti, invece - almeno secondo una vulgata sociologica che per fortuna non è prassi comune - non si fa che consumare storie precarie, destinate a finire, troppo presi da altro, troppo portati a mettere l’amore sullo stesso livello di tutto ciò che è consumo, merce usa e getta, noiosa abitudine da rinnovare in modo parossistico. Triste, certo, come tutto ciò che evapora senza lasciar traccia, senza radicarsi e senza avere un saldo profilo di futuro. Non la regola, come detto, ma certo una tendenza diffusa. Ed è anche grazie al cinema d’autore che riusciamo a rendercene conto. Il cinema che attraversa i decenni e che aiuta a farsi un’opinione, a modificare una convinzione e magari a suggerirne di nuove, più valide e diverse.

 

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