Non solo cashmere, Brunello Cucinelli presenta il suo vino: il Rosso 'Castello di Solomeo'

Spettacolo

Nicoletta Di Feo

ok cuci

Bottiglie avvolte da frasi di Marco Aurelio, Omero e Socrate. Brunello Cucinelli ha presentato durante una cena conviviale all'Istituto del Ciechi di Milano il suo vino, 'Castello di Solomeo'

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Non solo il borgo del cashmere, da oggi Solomeo è anche il luogo dove nasce il vino di Brunello Cucinelli. Si chiama ‘Castello di Solomeo’ ed è un Rosso che, parola di chi ha avuto il privilegio di degustarlo, avrà grande fortuna. Del resto ‘amabile consigliere’ dell’imprenditore umbro è l’enologo di fama internazionale Riccardo Cotarella. E l’occasione per presentare la prima annata, la 2018, delle vigne di Solomeo è stata la ‘cena della gratitudine’, una serata amichevole organizzata dall'imprenditore all’Istituto dei Ciechi di Milano durante la quale è stato assaporato anche l’olio della nuova stagione. Un luogo speciale per imparare a vedere diversamente perchè, ha spiegato l'imprenditore, "ho sempre pensato che Omero fosse così straordinario proprio perchè cieco". 

Prima dei famosi paccheri firmati da Vittorio, Cucinelli ha offerto ad amici, investitori e giornalisti una bruschetta di pane umbro, rigorosamente non salato, intriso nell'olio delle olive di Solomeo e un bicchiere di vino, o forse più di uno. Una ricetta semplice, legata alla tradizione, che è anche la ricetta che ha reso grande nel mondo la moda firmata Cucinelli.

Il rosso 'Castello di Solomeo'

Impiantato nel 2011, il vigneto si estende su una superficie di 5 ettari (6 in totale con la parte dedicata ai giardini) in cui si alternano tre tipologie diverse di suolo: alluvionale argillo-sabbioso, alluvionale argillo-limoso e marnoso arenaceo, ciascuna abbinata con accuratezza ad uno specifico vitigno coltivato. Un vigneto che è in grado di produrre circa novemila bottiglie per anno. 

Le uve scelte per il “Castello di Solomeo” sono Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot, da cui nasce il prestigioso blend bordolese, a cui viene aggiunto il vitigno Sangiovese come tributo alla cultura e alla tradizione vitivinicola del centro Italia. Da questa unione nasce, parola di esperti, un vino strutturato e al tempo stesso ricco di morbidezza.

Le oltre 20.000 piante che si snodano lungo i filari ondulati del vigneto di Solomeo vengono curate ogni giorno con l’obiettivo ultimo di garantirne massima longevità e benessere. Una filosofia agricola “secondo natura” che mette in pratica la saggezza conservata nelle mani, unendola alla scienza della tecnica e alla sensibilità dell’animo umano. La scelta di disporre i filari seguendo un disegno a onda rende il vigneto simile ad un giardino che necessita di una periodica e specifica manutenzione manuale e permette alle piante, grazie alla loro esposizione, di ricevere la massima quantità di luce favorendo l’arieggiamento. 

Inoltre, un ruolo di grande importanza è svolto dalle operazioni di selezione e diradamento dei grappoli sin dalle prime fasi fenologiche.

 

Il Vino di Solomeo, un tributo alla Terra Madre

"Se mi domando perché ho scelto di produrre vino qui a Solomeo", scrive Brunello Cucinelli, "il pensiero ritorna a qualche anno fa, quando nacque in me un desiderio, un desiderio così bello che apparve straordinario, per fascinazione, e così lo feci divenire una realtà viva senza chiedermi da dove veniva.

Solo dopo qualche tempo, quando l’edificio della cantina vegliava con amorosa cura la vigna che dolcemente, con le sue anse, si estendeva verso la valle; quando germogliarono per la prima volta più numerose delle stelle le viti che i cespi di rose alla testa di ogni filare proteggono, quando le foglie autunnali iniziavano a rosseggiare e sembravano in gara contro il sole che tramonta, allora gustai il primo mosto premuto che ribolle e poi il primo vino spillato, e mentre assaporavo tutto questo con leggera serenità sotto le nobili volte della cantina, sentii dentro di me, d’improvviso, come lo zampillo di una fonte nuova, un sentimento di gratitudine, prorompente gratitudine verso Gea, la Terra Madre, della quale l’umanità intera è figlia lungo tutta la sua antica storia, e capii d’un tratto da dove veniva il desiderio che mi aveva portato a quell’amabile risultato. Amo la Terra.

Sono nato in una famiglia contadina, e ho imparato ad amare la Terra madre fin dalla mia infanzia, quando giocavo insieme ai miei fratelli e ai cugini nei campi, e poi da adolescente, guidando l’aratro con i buoi ben diritti nei solchi, lodato per questo da mio padre, che in tale ordine vedeva la bellezza. Così vicino spiritualmente e fisicamente alla terra, che rivoltata dal vomere fumava contro il cielo pallido, potevo sentire il suo profumo, vedevo gemere l’humus che è vita, e capivo perfettamente perché quella terra ferace venisse adorata dagli antichi con la parola di Madre.

La Terra mi sembrava regina dell’armonia di ogni aspetto del Creato, e così della famiglia; in quei tempi non ricordo un solo giorno di tristezza, non ho mai visto discutere i miei genitori, e in casa non mancava davvero nulla di quanto realmente necessario: la tavola era ornata come quella dei re con i semplici doni della Terra, sempre nuovi secondo la stagione, e un profumo si spandeva per la casa, diverso a seconda delle ore del giorno. Tutti avevano un compito, si respirava un’aria di perfetta serenità e di reciproca dedizione. Ma sulla tavola non mancava mai il vino, consumato sempre con moderazione; era quasi un rito farne assaggiare un poco ai più piccoli, si diceva, per “farli diventare grandi”. Ai miei occhi quell’ambrosia appariva come un fattore di saggezza, perché la bevevano i grandi, che erano saggi.

Oggi, con gli anni che sono trascorsi, penso a quella gioventù spensierata, e paragono la beatitudine campestre, così amabilmente cantata da tanti antichi, alla vita attuale, confermandomi sempre di più del fatto che il perpetuo mutamento della natura non fa che confermare la sua universale indispensabilità per il genere umano. Per questo dovremmo prendere esempio dagli antichi e migliorare il nostro rapporto con il Creato. Produrre un buon vino è un amabile modo di farlo, perché rispetta l’aspirazione alla qualità di cui siamo orgogliosi a Solomeo e significa essere grati alla Magna mater, riconoscere che, come diceva Senofane, dalla Terra tutto deriva. Il vino Castello di Solomeo è prodotto in circa novemila bottiglie l’anno, da una piccola vigna che si estende per circa cinque ettari. Le sue uve sono Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot, da cui nasce il prestigioso blend bordolese, a cui viene aggiunto il vitigno Sangiovese come tributo alla cultura e alla tradizione vitivinicola del Centro Italia. Da questa unione nasce un vino strutturato e al tempo stesso ricco di morbidezza e di quella leggera fascinazione che fu all’origine del suo desiderio.

Il frutto della vite, insieme all’olio, il quale produco da diversi anni, è un simbolo primordiale della Terra che ci viene donato dai tempi più remoti. Il vino di Solomeo lo immagino come un atto di sacralità filiale verso la Terra, alla quale mi ispiro in ogni scelta, nella vita, nel lavoro, nel paesaggio incantato.

In un antico inno greco ‒ A Gea, madre di tutti i viventi ‒ la dea è invocata così:

Gea io canterò, la madre universale, antichissima, che nutre tutti gli esseri, quanti vivono sulla terra; quanti camminano, quanti sono nel mare e quanti volano, tutti si nutrono dell'abbondanza che tu concedi. Grazie a te gli uomini sono fecondi di figli e ricchi di messi.

Mi sembra già di veder sorgere un futuro radioso dove l’alta tecnologia, in armonia con la biologia, sarà sempre di più uno strumento prezioso per l’umanità, consapevole dei grandi simboli, dei grandi ideali, dei valori congeniti della specie umana. Il vino è tra questi valori uno dei più nobili, genitore di quella Sapienza di cui fu padre Dioniso, e che, regolata da Apollo secondo quanto ci racconta Nietzsche, è la forma più umana e completa di conoscenza."

 

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