Fuoriclassico3, la contemporaneità ambigua dell’antico sul corpo

Spettacolo
La Medea di Pierpaolo Pasolini (foto di Mauro Tursi)
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Fuoriclassico. La contemporaneità ambigua dell’antico: il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) dedica il 2019 (fino a dicembre) al tema del corpo. Quattordici incontri, ventinove ospiti tra italiani e stranieri, e tanti linguaggi 

Con la terza stagione di Fuoriclassico. La contemporaneità ambigua dell’antico, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) dedica il 2019 (da febbraio a dicembre) al tema del corpo. Quattordici incontri, ventinove ospiti tra italiani e stranieri, linguaggi che spaziano dalla poesia al teatro, dalla filosofia alla danza, dalla fotografia alla scienza.

Tema formidabile, il corpo. Antichissimo e contemporaneo. Per lunghi tratti, l’Iliade è un poema del corpo: inscena la contesa tra chi oltraggia il cadavere del nemico e chi quel corpo lo rivendica, per tributargli gli onori dovuti. Un’eco della contesa è nel conflitto tra Antigone e Creonte intorno al corpo di Polinice. Un conflitto mai spento, se si considerano le rinascite e i riusi politici, non importa quanto legittimi, del mito sofocleo. Una delle domande più perturbanti della contemporaneità riguarda invece lo statuto del corpo: è solo natura o le protesi che incorpora diventano una «nuova carne», paradossalmente artificiale, come vaticinava Cronenberg in un film epocale, Videodrome? Tuttavia, quella di un artefatto che si animi, di una cosa tanto desiderabile da essere mutata in corpo, non è un’idea contemporanea: gli automi hanno una storia antica. Nel mito può accadere che l’artefice s’innamori della propria opera e che una dea pietosa le infonda la vita. Ma il corpo è anche il «simbolo deisimboli». Altrimenti non si spiegherebbe la profusione di metafore corporee, di corpi politici, giuridici, mistici, celesti, corpi di fabbrica, di reato, d’armata, di ballo. Simbolo dei simboli significa dunque che un corpo non è solo un corpo ma rinvia sempre a qualcos’altro. La storia del potere è anche storia di seduzione, di corpi eloquenti, di posture, vestimenti e travestimenti più persuasivi delle parole. A sua volta, la storia della bellezza dei corpi è storia di potere. Di un potere tanto più irresistibile quanto più sfrenata è l’immaginazione di chi quei corpi li guarda. E col desiderio li ricrea, li plasma, li trasforma, come lo scultore della favola antica. Non sorprenda allora che il MANN dedichi Fuoriclassico al corpo, essendo un museoabitato da corpi. Nelle «sale sontuose» di questa «inaudita reggia archeologica» (Giorgio Manganelli), i corpi si sprecano, si richiamano, si corrispondono a distanza. I corpi e i loro frammenti: un museo archeologico è a suo modo anche un museo anatomico, fatto di dettagli decontestualizzati, di parti di unità perdute o decifrate a stento. Il nostro sguardo sull’antico presuppone dunque il desiderio dell’intero infranto: questa, nel Simposio di Platone, è una definizione dell’amore. Forse la più umana, perché implica il dolore del taglio e del distacco, la caparbietà e l’incertezza della ricerca, la gioia del ritrovamento e della restituzione.

Il MANN sarà dunque teatro di un confronto tra il nudo (e l’eros) nelle rappresentazioni classiche, con particolare riferimento alle scoperte recentissime fatte a Pompei (due affreschi di eccezionale fattura nella stessa alcova della Regio V: uno che rappresenta l’accoppiamento tra Zeus, in forma di cigno, e la mortale Leda, incantevole regina di Sparta; l’altro che invece ritrae Narciso), e una leggenda della fotografia contemporanea come Robert Mapplethorpein mostra al MADRE fino ad aprile. I nudi di Mapplethorpe, al tempo stesso classici ed estremi, oscillanti tra purezza e provocazione, sempre con un altissimo tasso di eros, saranno dunque messi in tensione con la scuola di nudo della pittura romana. 

Robert Mapplethorpe, è stato uno dei più grandi e celebri fotografi del Novecento. Convisse al Chelsea Hotel di NY come amante e poi come amico con Patti Smith, che gli dedicò un magnifico libro di memorie, Just Kids. Seppe cogliere forse come nessun altro lo spirito degli anni ’80, con i suoi ritratti di Andy Warhol, Debbie Harry, Amanda Lear. E seppe vanificare spericolatamente i confini tra erotismo e pornografia, diventando il fotografo per eccellenza del mondo gay più consapevole. Muore di AIDS nel 1989, a 49 anni

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