“Pollock e la scuola di New York”, a Roma i capolavori del Whitney

Spettacolo

Costanza Ruggeri

(Jackson Pollock, Untitled, ca.1950)
e

Fino al 24 febbraio 2019, il Complesso del Vittoriano a Roma ospita una grande mostra retrospettiva dedicata a Jackson Pollock e ai maggiori rappresentanti dell’Espressionismo Astratto newyorkese del secondo dopoguerra

A 68 anni di distanza dalla personale che Peggy Guggenheim gli dedicò a Venezia, la prima per l’artista nel Bel Paese, Jackson Pollock torna in Italia, questa volta a Roma. Arriva direttamente da New York una parte importante della collezione del Whitney Museum. 50 capolavori degli artisti dell’espressionismo astratto americano del dopoguerra in mostra al Museo del Vittoriano fino al prossimo 24 febbraio (FOTO).

L'America di Pollock

Anticonformismo, introspezione psicologica e sperimentazione. In mostra c’è l’America degli anni 50. L’America della ribellione e del rock and roll. L’America di Jack Kerouac e della Beat Generation, del “Giovane Holden” e Allen Ginsberg, di Marlon Brando e James Dean, stessa tragica fine di Pollock che muore, ubriaco, schiantandosi in auto nell’agosto del 1956.

La mostra al Vittoriano

Al Vittoriano ci sono 50 dei capolavori di alcuni dei più noti rappresentanti dell’espressionismo astratto: Pollock, Rothko, de Kooning, Kline, Newman. Li definivano “irascibili” per quella loro protesta contro il Metropolitan Museum di New York, reo di non dare sostegno e visibilità all’arte d’avanguardia. 70 anni dopo le opere di quegli “irascibili” sono esposte nei più grandi musei del mondo e valgono milioni di dollari.
Artisti che aggredivano la tela trasformandola in un campo d’azione, un’esperienza da vivere, un’emozione in cui immergersi. La loro non era una pittura da cavalletto. Il colore ha registrato i loro movimenti, la loro “danza”, la loro energia.

Action painting

Action painting è innovazione, trasformazione, rottura degli schemi e dal passato.
“Quando sono nel mio dipinto” diceva Pollock “non sono cosciente di ciò che sto facendo. È solo dopo una sorta di fase del familiarizzare che vedo ciò a cui mi dedicavo. Non ho alcuna paura di fare cambiamenti, di distruggere l'immagine, perché il dipinto ha una vita propria. Io provo a farla trapelare. È solo quando perdo il contatto con il dipinto che il risultato è un disastro. Altrimenti c'è pura armonia, un semplice dare e prendere, ed il dipinto viene fuori bene”.

 

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