Io e il mio iPhone, ecco come mi ha cambiato la vita

Spettacolo
L'iPhone compie quattro anni. Fu lanciato negli Apple Store degli Stati Uniti il 29 giugno 2007 (Getty)
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Il 29 giugno del 2007 lo smartphone della Apple esordiva nei negozi americani. In tanti non riescono più a farne a meno, come raccontano a Sky.it la scrittrice Melissa P. e il calciatore El Shaarawy. Niente da fare invece per Vladimir Luxuria

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di Valeria Valeriano

Te lo aspetti da un ragazzo di 18 anni. Anche se di cognome fa El Shaarawy e di professione il calciatore. Te lo aspetteresti meno da un uomo di 55. Soprattutto se si chiama Maurizio Galimberti ed è uno dei più importanti fotografi italiani. Cos’hanno in comune il “piccolo Faraone” e l’artista dei “mosaici” Polaroid? Entrambi hanno un compagno di vita da cui non si separano mai: l’iPhone. Proprio come Melissa P., scrittrice che addirittura lo sogna spesso. Esattamente quattro anni fa, alle 18 americane, lo smartphone della casa di Cupertino faceva il suo esordio nei negozi statunitensi. Decine di persone erano in fila già da cinque giorni per aggiudicarselo. Le code davanti agli Apple Store sono poi diventate una costante, in ogni Paese, ad ogni lancio di un nuovo modello. Dal 2007 a oggi il melafonino ha conquistato il mercato, nonostante gaffe come l’"antennagate" e i problemi di privacy, rivoluzionato il mondo dei cellulari e guadagnato la fiducia di gente comune e vip. Anche in Italia.

“Me l’hanno regalato lo scorso novembre – confida Stephan El Shaarawy, neo acquisto del Milan, classe 1992 –. Da allora non lo mollo più. Mi piace perché è completo, puoi farci di tutto. Io lo uso soprattutto per mandare sms e ascoltare musica. Le app che preferisco? Quelle che servono a leggere i siti sportivi e guardare le mappe. E Facebook, naturalmente”.

Dal calciatore alla scrittrice. Anche Melissa P., venticinquenne siciliana diventata famosa con il libro “Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire”, ha sempre in tasca il suo iPhone. “Da due anni – dice –. È un regalo di mio padre. Fosse per me, avrei ancora il Nokia del 1998”. Però è diventato il cellulare dei suoi sogni. Letteralmente. “È vero, lo sogno spesso. Sogno che mi manda messaggi criptati”. Lo usa per telefonare, certo, ma anche per fare foto. Instagram è l’app di cui non potrebbe più fare a meno. “Insieme all’oroscopo di Paolo Fox”, aggiunge. E quando non ha con sé il suo taccuino, si affida alle “Note”. “Ho scritto tante pagine così”. Se le chiedi un lato negativo del suo smartphone risponde: “Il tempo che ruba con i vari giochini. È fico, ma anche un limite”.

Cambiamo mestiere, cambiamo età, ma non gusti. “L’iPhone è ormai un compagno di viaggi inseparabile. Ce l’ho da sempre, praticamente da quando è uscito”. A parlare è Maurizio Galimberti, fotografo brianzolo nato nel 1956 e famoso per i suoi mosaici fatti con diversi scatti Polaroid. “Tempo fa – racconta – ero ad una festa di piazza in Puglia. Una coppia di giovani mi ha chiesto di fare una foto con il loro iPhone. «Guardi, ora con questa applicazione la faccio diventare come un mosaico di Galimberti», mi ha detto il ragazzo senza riconoscermi. È stato divertente”. Anche lui, artista internazionale, confessa di aver scaricato app come Polaroid e Photo Booth e di usare il telefono di Steve Jobs per scattare. “Ma per diletto, non per lavoro. Trovo sia uno strumento fantastico, un buon modo per avvicinarsi alla fotografia e condividerla. Prima per conquistare una ragazza potevi cantarle una serenata. Ora, con l’app giusta, puoi farle una foto, metterci un brano musicale e inviarle tutto”. Tra i limiti dell’iPhone elenca “gli mms e l’interazione con i telefoni non Apple”. “E poi preferisco i tasti, sono ancora poco pratico con il touch screen”. Oltre a quelle fotografiche, le app che usa di più sono quelle per leggere i quotidiani e per riconoscere i titoli delle canzoni.

Non è un fan dello smartphone della casa di Cupertino, invece, Sergio Ramazzotti,  milanese classe 1965, fotoreporter che ha accompagnato Fabio Caressa in Afghanistan. “Non ho un iPhone, non ne ho mai sentito l’esigenza – dice –. Per i miei viaggi, spesso in zone critiche, ho bisogno di contare su un telefono robusto, che funzioni, che faccia il telefono. Certo, le varie app possono essere utili. Ma ho le stesse funzioni sul computer, che comunque dovrei portarmi dietro”. Ramazzotti è critico soprattutto con i colleghi che usano la fotocamera dello smartphone per lavoro. “Ne ammetto un uso ludico, non professionale. Il reportage di David Guttenfelder, che con il suo iPhone ha immortalato i soldati americani in Afghanistan, lo trovo una follia. Il cellulare è lento, non scatta mai quando vuoi. In una realtà così dinamica rischi di perdere il momento giusto. Inoltre, io sono contro la post produzione spinta nel fotogiornalismo e non ho ancora visto un servizio fatto con l’iPhone e non post prodotto”. Il giornalista italiano, quindi, non apprezza tutte le applicazioni che permettono di modificare gli scatti: "Simpatiche mode, ora particolarmente in voga ma destinate a sparire". "Sono pericolose per due motivi – spiega –. Il primo è che possono rendere interessante qualcosa che non lo è. Anche una foto banale può diventare bella con tutte quelle sovrastrutture. Il secondo è che rischiano di far perdere sensibilità e concentrazione nel momento di cristallizzare l’attimo perfetto. Perché chi scatta sa già che potrà stravolgere la sua immagine in post produzione”. Ramazzotti non vede l’iPhone neppure come un primo strumento per avvicinarsi alla fotografia. “Con la stessa cifra compri una reflex di qualità dignitosa – dice –. Secondo me quel telefono è solo un bel giochino. Ecco, se me lo regalassero magari ci giocherei”.

Altra voce fuori dal coro è quella di Vladimir Luxuria, anche lei 46 anni, politica e personaggio tv. “Non sono così scafata tecnologicamente – ammette –, ho un vecchio cellulare. Prendere un iPhone perché va di moda e ce l’hanno tutti? No, tesoro. Io sono diversa”.

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