Da 20 anni l'Italia in cerca di intelligenze extraterrestri

Scienze
Il programma Seti è stato lanciato nel 1960 dall'astronomo americano Frank Drake (Getty Images)
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Nel 1997 il nostro Paese aderiva al Search for Extra-Terrestrial Intelligence (Seti). Da allora i risultati ottenuti non sono stati soddisfacenti ma secondo gli esperti vale la pena "rimanere in ascolto" 

Venti anni fa, nel 1997, l’Italia aderiva al "Seti" (Search for Extra-Terrestrial Intelligence): il programma per la ricerca di intelligenze extraterrestri. Da allora sono stati raccolti migliaia di dati che non hanno portato a risultati degni di nota, ma la speranza di captare segnali significativi resiste negli addetti ai lavori. "È difficile cercare quando non si sa che cosa cercare, ma vale la pena provarci" ha spiegato l'astronomo Stelio Montebugnoli, in un’intervista all’Ansa. 

Segnali "non confermati"

Il programma Seti è stato lanciato nel 1960 dall'astronomo americano Frank Drake ed è arrivato in Italia grazie a Montebugnoli che prese contatto con la Nasa e con l’esperto statunitense. Prima di poter dare avvio alle ricerche nel nostro Paese, però, è stato necessario attendere il 1997 quando dagli Stati Uniti è arrivato uno strumento che faceva capo al programma Serendip (Search for Extraterrestrial Radio Emissions from Nearby Developed Intelligent Populations) che, una volta collegato alle parabole del radiotelescopio di Medicina, in provincia di Bologna, ha consentito di raccogliere dati senza interferire con la normale attività di osservazione. "Da allora – ha spiegato Montebugnoli - abbiamo captato moltissimi segnali, alcuni dei quali sospetti e alcuni veramente intriganti, ma finora mai confermati". Il protocollo internazionale, infatti, prevede che i messaggi per essere considerati una "scoperta" debbano ripetersi più di una volta, ipotesi che "purtroppo non si è mai verificata".

 

Necessario un cambiamento di approccio

La difficoltà nel captare segnali provenienti da intelligenze extraterrestri, secondo Montebugnoli, sta anche nel fatto che si parte dal presupposto che "Et voglia farsi sentire" e che per farsi ascoltare ci invii segnali radio molto semplici. Ma, come ha spiegato l’astronomo, se un'ipotetica civiltà extraterrestre osservasse la Terra, "vedrebbe segnali radio solo per 200 anni sui 4mila di storia della nostra civiltà, ossia dal periodo delle prime trasmissioni radio fino al 2050, quando tutto il pianeta sarà cablato e non si useranno più i segnali radio". 

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