Alzheimer, ong americana finanzierà un innovativo studio italiano

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Il “Cure Alzheimer's Fund”, una delle maggiori organizzazioni non‐profit statunitensi che finanziano le ricerche sulla malattia, ha deciso di appoggiare il progetto proposto dai laboratori di Paola Pizzo, del Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Padova e da quello di Francesco Di Virgilio, dell’Università di Ferrara

Un lavoro di ricerca innovativo, “l’unico in Italia”, dell’importo di 345.000 dollari che si propone di studiare la neuro‐infiammazione che caratterizza il morbo di Alzheimer e di sviluppare un protocollo terapeutico sperimentale “basato sulla modulazione di un particolare recettore per l’ATP, denominato P2X7, presente soprattutto nelle cellule non‐neuronali chiamate microglia, e sul controllo dei livelli extracellulari di ATP nell’interstizio cerebrale”. E’ il progetto proposto dai laboratori di Paola Pizzo, del Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Padova e di Francesco Di Virgilio, dell’Università di Ferrara, che il “Cure Alzheimer's Fund”, una delle maggiori organizzazioni non‐profit statunitensi che finanziano le ricerche sulla malattia, ha deciso di finanziare. Lo riporta un comunicato diffuso sul sito dell’ateneo veneto.

Il ruolo del recettore P2X7

La malattia di Alzheimer, hanno spiegato i ricercatori, rappresenta la forma più comune di demenza nel mondo ed è stata al centro di studi sperimentali e clinici per molti decenni, nonostante un’efficace terapia non sia ancora disponibile. Molti studiosi sono anche convinti che “le attuali strategie di ricerca non abbiano alcun futuro”, si legge. E questo ha portato alcune delle più importanti aziende farmaceutiche ad abbandonare la ricerca sulla malattia. Perciò, gran parte delle principali associazioni internazionali che sostengono gli studi in questo campo cercano di proporre con urgenza “idee originali che indichino nuovi approcci terapeutici”. Ed è qui che si inserisce il progetto del team italiano, riconosciuto come gruppo di riferimento internazionale per i temi di ricerca che riguardano la malattia di Alzheimer, con il focus sul segnale infiammatorio innescato dall’ATP extracellulare e dal recettore P2X7. “La nostra ricerca ha lo scopo di individuare dei meccanismi precoci di attivazione dell’infiammazione cerebrale che potenzia e amplifica la neurodegenerazione caratterizzante la malattia”, ha riferito Pizzo. “Un ruolo importante in questo è svolto dalle cellule non neuronali della microglia che rispondono ad un segnale, l’ATP extracellulare, principalmente attraverso il recettore P2X7”. Secondo l’esperta, infatti, è stato dimostrato che “nell’interstizio cerebrale infiammato sono presenti alte concentrazioni di questa molecola segnale responsabili dell’innesco di una cascata amplificativa di eventi culminanti nella morte neuronale”. In definitiva, ha detto, “andando a modulare o a bloccare l’attività del recettore P2X7 auspichiamo di ridurre di molto tali fenomeni, preservando la funzionalità neuronale”.

Terapie innovative in un arco temporale precoce

Nell’ambito della ricerca, gli studiosi italiano condurranno anche uno studio in campioni biologici, raccolti da pazienti con disturbi cognitivi lievi o con morbo di Alzheimer, forniti dal Centro di Ricerca dell’Invecchiamento Cerebrale (CRIC) dell’azienda ospedaliera di Padova. Obietto, quello di determinare se “la presenza del recettore P2X7 attivato in fluidi periferici può essere considerato un biomarcatore precoce di neurodegenerazione”. Secondo Pizzo, in conclusione, “la possibilità di avere dei biomarcatori specifici e precoci di malattia è di fondamentale importanza per contrastare questa patologia, perché permetterebbe l’identificazione del processo neurodegenerativo prima di qualsiasi manifestazione clinica di demenza e la somministrazione al paziente di terapie innovative in un arco temporale precoce, ampliando di molto le possibilità di successo nel contrastare o bloccare la malattia”.

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