Covid Israele, dopo due settimane di vaccino calo dei positivi del 33%

Salute e Benessere

Si tratta di un dato diffuso dagli esperti del Clalit HMO, la più importante delle quattro organizzazioni di servizi sanitari locali, in riferimento al vaccino di Pfizer. Al momento sono dati preliminari, legati alla prima somministrazione del siero anti-Covid e a pazienti ultra sessantenni, ma la ricerca, come riferito da fonti di stampa israeliane, verrà portata avanti nelle prossime settimane per tentare di approfondire ulteriormente 

Nella lotta al coronavirus, Israele vanta al momento un primato, ovvero quello del primo Paese al mondo per numero di vaccinazioni, con oltre 2.050.000 dosi, pari a 23,66 ogni 100 abitanti, così come riporta un articolo del “Corriere della Sera”, sulla base dei dati forniti dagli esperti della piattaforma “Our World in Data”. Un’ulteriore notizia positiva è poi arrivata dal Clalit HMO, la più importante delle quattro organizzazioni di servizi sanitari in Israele, secondo cui dopo due settimane dall’inoculazione del vaccino anti-Covid, è stato possibile riscontrare un calo dei positivi pari al 33%. (Pillole di vaccino, dal vaiolo al Covid-19: i video delle puntateCovid-19, il vaccino in Italia e nel mondo: DATI E GRAFICI)

Lo studio sul vaccino di Pfizer

In particolare, come riportato anche dal quotidiano locale “Yedioth Ahronoth”, i ricercatori israeliani hanno voluto indagare, in riferimento al vaccino di Pfizer che ha diffuso un’importante fornitura al Paese, tentando di comprendere meglio se aver vaccinato una parte della popolazione possa aver avuto anche un riflesso sulla trasmissione del virus. In particolare, sono stati messi a confronto due gruppi: da una parte 200mila persone di oltre 60 anni che hanno ricevuto la prima dose di siero anti-Covid e dall’altra, ulteriori 200mila persone che non sono state vaccinate. In un periodo iniziale di 12 giorni, i due gruppi di pazienti hanno mostrato le stesse caratteristiche. Ma dal tredicesimo giorno in poi, fra i vaccinati, il numero di contagiati da coronavirus è calato, come detto, del 33% rispetto al gruppo opposto. La prima dose della vaccinazione sembra dunque ridurre in modo evidente il rischio di contagio fra gli ultra sessantenni ma, hanno specificato i medici, si tratta comunque di dati preliminari. La ricerca su questi dati, hanno riferito ancora le fonti di stampa israeliane, verrà portata avanti nelle prossime settimane fra quanti avranno nel frattempo ricevuto anche la seconda dose, che su indicazioni di Pfizer resta quella determinante ai fini dell’immunizzazione.

Un dato da confermare, ma incoraggiante

Seppur trattandosi di un dato preliminare e ancora da verificare, dunque, si tratta di una notizia incoraggiante. In primo luogo, perché si focalizza sulla prima dose del vaccino, che come ribadito da diversi esperti, tra cui Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, e dalle stesse aziende produttrici, non offre una copertura completa. Inoltre, perché il siero anti-Covid non è stato sperimentato inizialmente per limitare la trasmissione della malattia, ma piuttosto per fermarne lo sviluppo Se i dati provenienti da Israele venissero validati ulteriormente, confermando che il vaccino blocca anche in parte la trasmissione, si tratterebbe di un significativo passo in avanti rispetto alla lotta contro il coronavirus.

Una persona viene vaccinata contro la menengite, Capriolo (Bs), 7 Gennaio 2020. ANSA/ FILIPPO VENEZIA

approfondimento

Vaccino anti covid, Israele primo al mondo nelle somministrazioni

Salute e benessere: Più letti