Sanità pubblica in rosso: 12 milioni di italiani rinunciano alle cure

Salute e Benessere
Un'immagine del Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I di Roma (Archivio Getty Images)
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Si tratta di persone a basso reddito o non autosufficienti. Altri 8 milioni hanno dovuto usare per le spese mediche tutti i propri risparmi o indebitarsi: così salgono i ricavi del comparto privato

Nelle strutture del sistema sanitario nazionale le liste di attesa sono sempre più lunghe e così gli italiani si rivolgono sempre più spesso a cliniche private. Sono le conclusioni del Rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute presentato oggi al "Welfare Day 2017", che inquadra il problema nella carenza di risorse nel comparto pubblico della sanità, vittima di un deficit che oscilla tra i 20 e i 30 miliardi di euro l'anno. Chi può spendere, così, sceglie il privato: la spesa sanitaria in questo comparto è in netta crescita. E chi invece non ha la disponibilità economica, semplicemente non si cura: già nell’ultimo anno sono 12,2 milioni gli italiani che hanno rinunciato o rinviato prestazioni sanitarie (1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente).

Per gli italiani la qualità del servizio sanitario pubblico è calata

I dati del rapporto indicano come il 52% degli italiani consideri inadeguato il servizio sanitario della propria regione (la percentuale sale al 68,9% nel Mezzogiorno e al 56,1% al Centro, mentre scende al 41,3% al Nord-Ovest e al 32,8% al Nord-Est). Non è un dato di poco conto, considerando che la sanità pubblica italiana è un modello mondiale, considerata da Bloomberg la prima in Europa e dalla rivista scientifica inglese The Lancet come la 12esima al mondo, prima di quella tedesca e francese. Un'eccellenza, che, evidentemente, non si riesce a preservare con investimenti adeguati: così i servizi medici pubblici peggiorano. Secondo il Rapporto Censis-Rbm, per il 45,1% degli italiani la qualità del servizio sanitario della propria regione è peggiorata negli ultimi due anni (lo pensa il 39,4% dei residenti nel Nord-Ovest, il 35,4% nel Nord-Est, il 49% al Centro, il 52,8% al Sud), mentre per il 41,4% è rimasta inalterata e solo per il 13,5% è migliorata. E la lunghezza delle liste d'attesa è il paradigma delle difficoltà del servizio pubblico: così chi ha necessità impellenti, se può, è costretto a spostarsi verso l'offerta privata. Secondo il rapporto, ad esempio, per una mammografia si attendono in media 122 giorni nel pubblico (60 in più rispetto al 2014) e nelle regioni del Sud l'attesa arriva a 142 giorni, mentre per una colonscopia l'attesa media è di 93 giorni (6 in più rispetto al 2014), ma nelle regioni del Centro si sale fino a 109.  

Rinunciare a curarsi per mancanza di risorse

Una realtà sempre più evidente e in netta crescita: erano 9 milioni nel 2012, sono diventati 12 milioni nel 2017 gli italiani che hanno dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie nell'ultimo anno a causa di difficoltà economiche, non riuscendo a pagare di tasca propria le prestazioni: in particolare, 2,4 milioni di anziani e 2,2 milioni di giovani. E di questi quasi due terzi sono affetti da malattie croniche, a basso reddito, oppure sono donne e persone non autosufficienti. Chi può spendere, però, a volte deve usare tutto quello che ha: così 7,8 milioni di italiani hanno dovuto utilizzare per le spese sanitarie tutti i propri risparmi o indebitarsi con parenti, amici o presso banche e istituti di credito.

Scegliere la sanità privata come alternativa

Sono 7,1 milioni gli italiani che nell'ultimo anno hanno fatto ricorso all'intramoenia (il 66,4% di loro proprio per evitare le lunghe liste d'attesa): ll 30,2% si è rivolto alla sanità a pagamento anche perché i laboratori, gli ambulatori e gli studi medici sono aperti nel pomeriggio, la sera e nei weekend, ossia quando è più semplice farsi visitare senza perdere ore di lavoro. Infine, sono 26 milioni i cittadini che si dicono propensi ad aderire alla sanità integrativa: il risultato complessivo è che la spesa sanitaria privata ha toccato i 34,5 miliardi di euro (+3,2% negli ultimi due anni). Così, il gap tra i due comparti è destinato inevitabilmente ad allargarsi, a meno di nuovi investimenti nel settore sanitario pubblico.

 

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