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Roma, uccise uomo e accusò suo figlio: in appello condanna a 16 anni

Lazio
Foto di archivio

La sentenza è stata emessa nel nuovo processo d’appello, dopo il rinvio della Cassazione. I giudici hanno riconosciuto Manuel Elvis Rossi responsabile di omicidio doloso 

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Nel nuovo processo d'appello, è stato condannato a 16 anni di reclusione Manuel Elvis Rossi, l’uomo che prima accusò il figlio di 10 anni di aver spinto un nomade, che morì per le conseguenze di quella caduta, e poi davanti al giudice ammise di aver colpito lui stesso la vittima, perché aveva malmenato il bambino. I fatti risalgono al luglio 2015. La sentenza è stata emessa dalla II Corte d'assise d'appello di Roma, incaricata di un nuovo giudizio di secondo grado dalla Cassazione, che aveva rinviato a un nuovo processo, limitandone la decisione alla sola qualificazione giuridica del fatto. I giudici hanno riconosciuto Rossi responsabile di omicidio doloso e lo hanno condannato a 16 anni di reclusione, ritenendo equivalenti alla recidiva le già concesse attenuanti generiche, e con la diminuente per la scelta del rito alternativo.

La ricostruzione dei fatti

La vicenda risale al 31 luglio 2015. Un nomade richiese l’intervento della polizia perché il suocero, Vejia Seferovic, era stato aggredito da un altro nomade, che poi era sparito con tutta la sua famiglia dal campo nomadi di via Candoni, in zona Magliana. L’uomo, che aveva battuto la testa contro un marciapiede, fu trasportato in ospedale dove morì. Gli investigatori individuarono l’aggressore, Manuel Elvis Rossi, che si presentò spontaneamente ai carabinieri il giorno dopo. Rossi raccontò che, la sera precedente, era con il figlio di 10 anni e che era stato proprio il bambino a spingere il nomade, dopo essere stato aggredito. In sede processuale, Rossi aveva invece cambiato versione e aveva ammesso di essere stato lui ad aggredire il nomade. Nel febbraio 2016, fu perciò condannato in primo grado dopo il rito abbreviato a 18 anni di carcere per omicidio volontario. I giudici esclusero l'aggravante dei futili motivi e concessero le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva. Nel dicembre successivo la prima Corte d'assise d'appello ribaltò la sentenza, condannandolo a dieci anni di reclusione per omicidio preterintenzionale. La Cassazione, infine, nel marzo scorso annullò quest'ultima sentenza, rinviando a una nuova Corte d'assise d'appello la decisione limitatamente alla qualificazione giuridica del fatto.