Mafia Capitale, negò intimidazione: rischia rinvio a giudizio

Lazio
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A Bruno Caccia viene contestato il reato di falsa informazione ai PM aggravata dal metodo mafioso avendo detto il falso ai magistrati 

Nel corso della sua deposizione davanti ai PM, nell’ottobre 2015, aveva negato di aver subito intimidazioni da parte di Massimo Carminati, Riccardo Brugia e Matteo Calvio. Per questo la Procura di Roma ha chiuso le indagini nei confronti di Bruno Caccia, il titolare di una ditta di trasportatore che aveva contratto un debito di 25mila euro con Roberto Lacopo, già condannato nel processo al Mondo di Mezzo e titolare del distributore di benzina di Corso Francia, ritenuto dagli inquirenti il quartier generale del gruppo criminale guidato dall’ex Nar.

A Caccia viene contestato il reato di falsa informazione ai PM aggravata dal metodo mafioso per aver agevolato l’associazione di tipo mafioso capeggiata da Carminati dicendo il falso ai magistrati. In questo nuovo filone di indagine sono coinvolti anche Paolo Luigi Proteo, amministratore unico della Immobile Business srl, Alberto Di Folco, amministratore unico della Edil Lazio srl e il manager Fabrizio Franco Testa (condannato in appello a 9 anni e 4 mesi). Ai primi due è contestato il reato di emissioni di fatture false per operazioni inesistenti mentre a Testa è contestata anche l’aggravante del metodo mafioso. 

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