La metamorfosi dell'avvocato degli italiani

Politica

Massimo Leoni

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Il professor Conte cresce. Contrasta il monopolio dei vicepremier. Contraddice Salvini sui migranti. Cronaca di un'ascesa politica, che lui continua a chiamare parentesi  

Alla fine, probabilmente, andrà come sempre da giugno a oggi. Il governo regge, la maggioranza resta compatta. Ma qualcosa di diverso sarà comunque successo, alla fine. Anzi, un paio di cose.

La prima. Stavolta il metodo la divisione per materie, il sistema dei due programmi reciprocamente intangibili e paralleli di Lega e Cinquestelle non ha funzionato. Salvini non è riuscito a imporre il suo punto di vista sui migranti, sui porti chiusi, sulle Ong. Il monopolio del ministro dell’Interno sull’argomento è stato prima insidiato dalle dichiarazioni – non ultimative, ma di certo alternative – del suo omologo a Cinquestelle, Luigi Di Maio. Poi è dovuto passare – la grande novità – per il personale giudizio antitrust (seguo la metafora del monopolio) di Giuseppe Conte. Giudizio senza precedenti nella breve esperienza del governo gialloverde. E solenne (!) perché pronunciato a Porta a Porta, nella prima apparizione del premier in quella che qualche anno fa fu chiamata la terza camera della politica italiana. “C’è un limite al rigore. Ci sono donne e bambine in mare da oltre due settimane. Se Salvini non vuole sbarchi, vuol dire che li prenderò e li porterò in aereo”. Queste parole dicono che, secondo il presidente del Consiglio, il monopolio del ministro dell’Interno non è necessario. Forse dicono anche che il metodo dei monopoli sui programmi paralleli non è un monopolio naturale. Che è una necessità per andare avanti, spesso. Ma non sempre e non ad ogni costo. E quando non si può applicare, e se il costo è troppo alto, lo decide Conte. O, almeno, questa è il nuovo metodo che il premier ha proposto davanti a Bruno Vespa, senza avvisare nessuno, pare, tranne il conduttore. Il nuovo metodo è una tantum? Vedremo, io non credo.

Il metodo è nuovo (per questo governo, s’intende), ma ancor più nuovo è l’uomo che lo propone o, forse, lo impone. È questo il secondo elemento diverso. Conte ha fatto il presidente del consiglio. Si è preso la responsabilità di definire la posizione dell’Italia in una delicata vicenda internazionale. E lo ha fatto da solo, leggendo la costituzione e il ruolo che assegna al capo del governo. Per questo non ho creduto a quello che ha detto in conferenza stampa, a fine anno, rispondendo alla mia curiosità. “La presidenza del consiglio è un grande onore, ma per me la politica resterà una parentesi”. Oggi, ci credo ancora meno.

Consigli per l'ascolto: "Bridge over Troubled Water", Simon & Garfunkel

 

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