Il Def, la manovra e due domande senza risposta

Politica

Massimo Leoni

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I numeri del Def rimarranno quelli annunciati. L'Europa è arrabbiata. E due interrogativi sono cruciali per il futuro dell'Italia

Tria non ha convinto l’Europa. A dire il vero non si è impegnato molto. Di certo, non per lungo tempo. È ripartito in anticipo da Lussemburgo, ha parlato con i colleghi dell’Eurogruppo ma non con quelli dell’Ecofin, è tornato a Roma non per dimettersi (a Lussemburgo a un certo punto in sala stampa non si parlava d’altro), ma perché la cosa di cui si tratta, la nota di aggiornamento del Def, ancora non esiste in forma scritta. A emergere dall’indistinto, solo due totem: il rapporto deficit/pil al 2,4% per tre anni e le stime di crescita: +1,6% nel 2019, +1,7% nel 2020. La prima cosa ha fatto arrabbiare l’Europa, la seconda l’ha fatta arrabbiare di più. Perché il primo numero è stato valutato come una scelta politica pericolosa, preoccupante per gli equilibri europei, potenzialmente distruttiva per l’area euro (parole del presidente della Commissione europea, Junker), quindi da contrastare e magari sanzionare. Ma, comunque, la scelta di un governo democratico legittimamente in carica e con cui fare i conti. La stima sul pil invece è considerata una via di mezzo tra una presa in giro e una provocazione, visto che il consenso pressoché unanime sulla crescita italiana per il prossimo anno è fermo allo 0.9-1.0%. E sì, certo, il surplus di spesa previsto farà pure più pil, ma così tanto di più è difficile. E i colleghi europei di Tria considerano un azzardo (morale) scriverlo in un documento del governo che fa da cornice a tutta la manovra di politica economica dell’anno prossimo.

Il fatto è che il governo – nelle dichiarazioni dei suoi massimi esponenti – quei numeri non li cambierà. Anzi. Quel “me ne frego” che qualche giorno fa era l’iperbole del vostro cronista è diventato il virgolettato di un vicepremier. Il fatto è che, con quei numeri, sembra molto difficile che la commissione non vada dritta verso la procedura d’infrazione all’Italia, quando avrà in mano la bozza della legge di bilancio. Allora ci sono due interrogativi fondamentali e sui quali è difficile anche abbozzare una previsione.

Il primo: la composizione della manovra (che sembra essere il motivo per il presidente Mattarella avrebbe chiesto a Tria di rimanere al suo posto) potrà influenzare il giudizio della commissione fino al punto di fargli superare il no netto ai numeri di cui sopra? Mix differenti tra investimenti, spesa corrente e riforme potranno essere determinanti per una promozione o una bocciatura?

Il secondo: se la Commissione avvia una procedura d’infrazione, il me ne frego vale ancora? L’Italia disconosce la procedura? Non paga le sanzioni? Scivola fuori dall’Unione? Fuori dall’Euro?

In realtà, un indizio per rispondere al secondo interrogativo ci sarebbe. Il presidente del consiglio ha scritto che l’euro è la nostra moneta e che è irrinunciabile. Quindi si direbbe che nell’Eurogruppo ci vogliamo restare. Poi però il dubbio torna, quando Salvini dice che lui parla solo con persone sobrie. Gli avevano chiesto cosa rispondeva a Junker.  

Consigli per l’ascolto: “Should I Stay or Should I Go”, The Clash

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