Finanziamenti alla politica, soldi da fondazioni ma poca trasparenza

Politica

Silvia Monsagrati

Le elezioni del 4 marzo sono state le prime prive (quasi) completamente di finanziamenti pubblici (Ansa)

Chiuso il rubinetto dei rimborsi elettorali, i partiti hanno fatto sempre più spesso ricorso alle cosiddette fondazioni per finanziare la propria attività elettorale

Nel 2014 entra in vigore la legge che abolisce in modo graduale i rimborsi elettorali ai partiti. Quelle del 4 marzo scorso sono state le prime elezioni prive, o quasi, di finanziamenti pubblici, alle quali le formazioni politiche sono arrivate con le casse esangui.

Finanziamento ai partiti: come funziona

La legge infatti lascia ai partiti solo due possibilità per finanziarsi. La prima è il due per mille (cioè soldi che i cittadini in dichiarazione dei redditi decidono di versare a un partito). Quest’ultimo però, complice la disaffezione nei confronti della politica, ha fruttato appena 15 milioni nel 2017, con il Partito Democratico a fare la parte del leone, e gli altri partiti a spartirsi il resto. Poi ci sono le donazioni dei privati. Per queste ultime le regole sono strette: la cifra massima donabile è 100mila euro. I partiti inoltre hanno l'obbligo di comunicare i nomi di chi dona più di 5mila euro, pena una sanzione. La privacy però consente ai finanziatori di chiedere che il loro nome non risulti pubblicamente.

Le fondazioni

Chiuso un rubinetto, però la politica può trovare altri modi per finanziarsi. Uno di questi è attraverso le fondazioni: sono centri studi (o per dirla all’inglese Think tank), che svolgono attività culturali o politiche di vario tipo, come organizzazione di convegni o pubblicazione di riviste. Il meccanismo che le regola è decisamente più opaco degli obblighi di trasparenza imposti ai partiti. Le fondazioni ad esempio non hanno l'obbligo di pubblicare i bilanci o comunicare i nomi dei finanziatori, e non ci sono limiti alle cifre che si possono donare. Spesso fanno riferimento a singoli politici, a correnti o interi partiti. Un intreccio che può rendere vischioso il confine tra fondazione e partito politico. Insomma, donare a una fondazione può diventare un escamotage per finanziare un candidato, o per cercare una sponda politica per i propri interessi, senza sottostare a troppi vincoli o senza che si sappia troppo in giro

Scarsa trasparenza

Di questo tipo di associazioni ne esistono un centinaio, ma perfino fare un censimento completo è un’impresa complicata. Nel maggior parte dei casi delle loro fonti di finanziamento non si sa quasi niente. Secondo Openpolis quelle che pubblicano i propri bilanci sono appena il 16%, e ancora meno sono quelle che rendono noti i nomi dei donatori. Tra queste mosche bianche, ad esempio, c'è stata in passato la fondazione Open di Matteo Renzi (che pubblicava i nomi dei finanziatori che lo acconsentivano) o l'Aspen Institute il cui presidente è l'ex ministro Tremonti. Anche l’associazione Rousseau, ha fatto sapere Di Maio, renderà pubblici bilancio e donatori.

La scarsa trasparenza delle fondazioni, spesso considerate un vero e proprio bancomat della politica, è un vecchio cruccio del numero uno dell'anti corruzione Raffaele Cantone, che ha definito le queste strutture il vero motore delle campagne elettorali, in una situazione che ha raggiunto limiti di indecenza. Nel corso degli anni sono state presentate varie proposte per rendere aumentare la trasparenza delle fondazioni, e ora il nuovo Governo, tramite capo politico del Movimento 5 stelle, rilancia la questione.

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