Berlusconi alla stampa estera: "Non mi ricandido"

Politica
alfano_berlusconi_senato

Il successore? Torna l'ipotesi dell'attuale ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Lo rivelano il Wall Street Journal e il Guardian al termine di un incontro con il premier. Ma Bonaiuti frena: "Le frasi vanno contestualizzate"

Intenzionato a vincere la sua eterna "guerra" contro le "toghe rosse" e per questo molto soddisfatto dal primo via libera di Montecitorio alla "prescrizione breve". Eppure Silvio Berlusconi, incontrando alcuni giornalisti stranieri, torna a ventilare l'ipotesi di un passo indietro, rilanciando Angelino Alfano come suo successore.

Subito dopo il voto in Aula, il presidente del Consiglio fa trapelare la sua gioia per il voto su norme che "finalmente" mettono l'Italia al passo con gli altri Paesi Ue. Ma plaude soprattutto al dato politico: il centrodestra, nonostante la rissosità interna, dimostra la sua lealtà, mentre le opposizioni perdono pezzi.

Ma a dominare la giornata sono soprattutto le parole che Berlusconi pronuncia davanti ad una ventina di corrispondenti esteri. E a far clamore è la ricostruzione del Wall Street Journal che, sul sito, annuncia l'intenzione del Cavaliere di farsi da parte. "Se ci sarà bisogno di me come padre nobile, sono disponibile. Potrei essere capolista, ma non voglio un ruolo operativo", è il virgolettato che l'autorevole quotidiano statunitense gli attribuisce. Anche il Guardian dà una versione tranchant: "Berlusconi ha annunciato che non correrà alle prossime politiche del 2013 e ha indicato in Alfano la persona alla quale intende affidare il partito".

Per la verità altri corrispondenti precisano che prima di quella frase il Cavaliere ha fatto una premessa di non poco conto: "Dipenderà dai sondaggi". E lo stesso portavoce Paolo Bonaiuti invita a inserire le parole nel contesto. Anche la successione del Guardasigilli, ad altri giornalisti, sembra meno scontata. "Di nomi nella sala ne sono risuonati anche altri: Franco Frattini, Mariastella Gelmini, Maurizio Sacconi", riferisce uno dei presenti. Anche se, concordano tutti, il premier ha fatto capire di puntare su Alfano. Sia come sia, resta il fatto che ancora una volta (l'ultima durante la conferenza stampa di fine anno) Berlusconi appare perlomeno tentato dal farsi da parte. Così come nega di vedere nel suo futuro il Quirinale, per il quale rilancia Gianni Letta.

Dietro queste parole si possono nascondere diverse ragioni. Forse anche tattiche, visto che lui stesso spiega che la smania di molti è dovuta alla durata del governo che impedisce un turn over come negli anni della Prima Repubblica. Un modo quindi per spronare tutti alla competizione, anche se il rischio e di preoccupare la Lega.

Ma indubbiamente si coglie anche una stanchezza di fondo, la voglia di mollare tutto e di lasciarsi alle spalle i tanti dispiaceri della politica. Prima di decidere la partecipazione italiana alle operazioni in Libia, confida ad esempio il premier ai giornalisti, "ho pensato fosse mio dovere dimettermi". Altro motivo che lo spinge verso l'addio è il rapporto con i magistrati, sul quale Berlusconi insiste molto con i corrispondenti esteri. Parla di "guerra" che va in scena dal '92; di "disgusto" per l'ennesima fuga di notizie sul '"Rubygate", di pm politicizzati come di un "cancro" da estirpare. In passato ha sempre detto che avrebbe lasciato solo dopo aver riformato la giustizia. Difficile che veda il traguardo all'orizzonte visto che la riforma costituzionale avrà un percorso lungo. Possibile che si accontenti di qualcosa di meno.

Ma forse Berlusconi è anche stanco di dover gestire tutte le grane interne al partito. Sa bene che il Pdl, nonostante la prova di compattezza di oggi, è una polveriera. Claudio Scajola riunisce in serata i fedelissimi, anche se i deputati a lui più vicini rimandano la sfida: "Per ora è tregua, ma dopo le amministrative ci aspettiamo risposte concrete", spiega un deputato vicino all'ex ministro. Anche gli ex di An si preparano alla 'conta' con Altero Matteoli che riunisce i 'suoi'. Un tentativo di riconciliazione sarà fatto giovedì sera quando ministri e capigruppo si riuniranno all'hotel Valadier.

Ma il premier sa che il fuoco cova sotto la cenere. Anche nel governo, visto che oggi, mercoledì 13, nessuno ha osato dire nulla contro Giulio Tremonti, ma solo perché il Documento di Economia e Finanza era praticamente vuoto. Ma da qui a maggio, quel testo dovrà essere riempito di numeri e cifre e "allora - confida un ministro - se ne vedranno delle belle".

Politica: I più letti

[an error occurred while processing this directive]