L'indagine, avviata nel gennaio del 2019, ha smantellato un'organizzazione criminale che spacciava nel mandamento mafioso di Porta Nuova e aveva come base i quartieri di Borgo Vecchio e della Kalsa
A Palermo i carabinieri hanno eseguito nel capoluogo siciliano e a Napoli una misura cautelare nei confronti di otto persone accusate di detenzione e cessione, in concorso, di sostanze stupefacenti. Cinque sono finite in carcere e tre agli arresti domiciliari. L'indagine, avviata nel gennaio del 2019, ha smantellato un'organizzazione criminale che spacciava nel mandamento mafioso di Porta Nuova e aveva come base i quartieri di Borgo Vecchio e della Kalsa.
Le indagini
I militari avrebbero scoperto l'attività di spaccio e accertato che veniva gestita da un gruppo di persone tra loro legate da vincoli di parentela. In particolare, secondo gli inquirenti, il capo della organizzazione a gestione familiare era detenuto e avrebbe dal carcere organizzato acquisti e cessioni di droga in concorso con alcuni degli arrestati di questa notte. Ed è stato confermato, inoltre, come già emerso in tante altre operazioni, un canale diretto di approvvigionamento di hashish tra Palermo e Napoli. La droga sarebbe stata rivenduta al dettaglio ai vari pusher nelle piazze di spaccio dei quartieri Borgo Vecchio e Kalsa. Nel corso dell'attività erano già state arrestate in flagranza di reato tre persone e sequestrati circa 50 chili di hashish.
Detenuto gestiva spaccio dal carcere
Secondo quanto emerge dall'inchiesta un detenuto, O.A., in carcere per estorsione, anche dal carcere di Agrigento controllava lo spaccio di droga nel quartiere Kalsa di Palermo. L'uomo usava schede telefoniche intestate a cittadini del Bangladesh. Quando si diffuse la notizia del pentimento del boss Francesco Colletti, l'uomo, parlando con il figlio e la moglie, spiegò come fare arrivare nuove sim "pulite". Al telefono dava poi disposizioni sulle questioni legate al mandamento mafioso, disponeva dei soldi. "Mi deve dare 7.000 euro a me… ancora non me li ha dati", gli diceva il figlio Salvatore, riferendosi a un uomo soprannominato" U pompa di benzina", come si legge nell'ordinanza firmata dal gip Walter Turturici. Dalla cella attraverso il telefonino passava i suoi ordini a "Nicola dello Sperone", "stuppaglia", "Daniele u funcia", tutti soprannomini di persone che dovevano soldi alla famiglia Abbate. Le richieste di saldo erano perentorie e dovevano essere soddisfatte.