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Napoli, ucciso e sciolto nell'acido per errore nel 2000: presi killer

Campania

Per fare luce sull'accaduto sono state necessarie anche le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia

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Con la camorra non c'entrava proprio niente, Giulio Giaccio, 26 anni, di cui si sono perse le tracce il 30 luglio del 2000: fu ucciso per un errore da due esponenti di spicco del clan Polverino perché ritenuto l'amante "indesiderato" della sorella di uno dei due killer. E il suo corpo venne distrutto, con l'acido. Una fine orrenda che, però, ora ha dei responsabili: al termine di indagini coordinate dalla DDA, i carabinieri di Napoli hanno notificato nuove accuse e due ordinanze di arresto ad altrettanti esponenti di spicco del clan Polverino. Si tratta di Salvatore Cammarota, 55 anni, detenuto a L'Aquila, e di Carlo Nappi, 64 anni, in carcere a Livorno. 

Le indagini

Per fare luce sull'accaduto sono state necessarie anche le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Giuseppe Simioli, ex boss del clan Polverino, e Roberto Perrone. I successivi accertamenti degli inquirenti hanno consentito di scoprire che l'operaio napoletano (era del quartiere Pianura) Giulio Giaccio, venne scambiato per un certo Salvatore, un uomo che stava intrattenendo una relazione osteggiata con la sorella di Cammarota. I due arrestati, fingendosi poliziotti, costrinsero la vittima - che era in compagnia di amico il quale poi avvertì i familiari - a salire a bordo della propria auto dove venne interrogato. Giaccio negò più volte di avere una relazione sentimentale con quella donna, ciononostante venne ucciso con un colpo d'arma da fuoco alla testa e il cadavere distrutto completamente, utilizzando dell'acido. La vicenda fu oggetto di diverse indagini, tutte archiviate. Subito dopo la sparizione vennero ascoltati diversi parenti di Giaccio e tutti confermarono agli investigatori che lui con la criminalità non aveva mai avuto rapporti.

Il pentito: "Il mio capitolo più nero"

"Il capitolo più nero e angoscioso della mia storia criminale". Perrone racconta la vicenda agli inquirenti nella veste di "pentito": prese parte alle fasi preparatorie ed esecutive del prelievo "forzato" dell'operaio ed era presente quando il killer Raffaele D'Alterio lo uccise a sangue freddo. Un omicidio che Perrone non si aspettava e che lo mandò su tutte le furie, in quanto commesso senza che venisse preventivamente avvertito.