La guardia di finanza ha portato in carcere un imprenditore 56enne e posto ai domiciliari un suo stretto collaboratore e coetaneo per una presunta frode fiscale. Nel corso dell’indagine, denominata “Foreign Cars”, sono state sequestrate somme per oltre 500mila euro
La guardia di finanza, su ordine del gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), ha arrestato R.P., imprenditore 56enne, e il coetaneo E.F.V., suo stretto collaboratore. Il primo è stato portato in carcere, il secondo è stato invece posto ai domiciliari. Ai due soggetti viene contestata una presunta frode fiscale. Secondo le forze dell’ordine, centinaia d'auto sarebbero state importate dall'estero in modo illecito, attraverso la falsificazione di fatture e senza pagare l'Iva, e sarebbero poi state rivendute in Italia a ignari acquirenti a un prezzo comprensivo proprio dell'imposta sul valore aggiunto, però mai pagata. In seguito all’operazione dei militari, denominata “Foreign Cars”, sono state sequestrate somme per oltre 500mila euro (pari all'Iva evasa) riconducibili ai soggetti ammanettati.
L’inchiesta “Foreign Cars”
Nell’inchiesta "Foreign Cars”, coordinata dalla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, sono indagate altre 10 persone. In particolare, risultano coinvolti i soggetti che si sarebbero intestati in maniera fittizia le società utilizzate da R.P., per poter effettuare gli acquisti, e due segretarie dell’imprenditore, che materialmente avrebbero predisposto la documentazione falsa. I finanzieri hanno anche individuato il capannone dove il 56enne e i suoi complici si sarebbero incontrati per falsificare le fatture.
La presunta frode fiscale
Stando a quanto emerso dall’inchiesta, alla fine di ogni giornata le due segretarie distruggevano tutti i documenti commerciali su indicazione di R.P., per non lasciare traccia degli illeciti. La frode, stando a quanto accertato dagli inquirenti, sarebbe avvenuta attraverso l'utilizzo, da parte dell’imprenditore, di “società cartiere” (esistenti cioè solo su carta). Il 56enne ne avrebbe utilizzate otto con sede in Italia e tre in Repubblica Ceca, tutte intestate a prestanomi. Tali società avrebbero acquistato le auto, provenienti da Germania e Belgio, in sospensione d'imposta, trattandosi di acquisti intracomunitari. Le fatture emesse dalle concessionarie estere sarebbero poi state alterate. Come acquirente sarebbe stato posto il cliente privato finale, con annessa la dichiarazione che l'Iva era stata pagata all'estero. Cosa che non sarebbe vera. Un’altra modalità per effettuare l’attività avrebbe riguardato l’indicazione di una società cartiera con sede a Praga come venditrice. Anche in questo caso, l'Iva sarebbe stata dichiarata come pagata. R.P. e i soci guadagnavano sul prezzo finale praticato ai privati (comprensivo dell'Iva mai retribuita) cui era rivenduta l'auto.