Azerbaijan, Aliyev cerca nuovo consenso con le elezioni del 9 febbraio

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Daniele Brunetti

Ilham Aliyev, il presidente in carica dell'Azerbaijan (Getty Images)

Gli azeri sono chiamati alle urne per rinnovare l'Assemblea Nazionale. La camera è stata sciolta per accelerare le riforme volute dal presidente attraverso il rinnovamento dell'organo legislativo del Paese, ma ciò che si prospetta è una "modernizzazione autoritaria"

Il 9 febbraio, in Azerbaijan, si tengono le elezioni parlamentari. Gli azeri saranno chiamati a eleggere i 125 membri dell’Assemblea Nazionale che, da quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza dall’Unione Sovietica (1991), è sempre stata controllata dal Yeni Azerbaijan Party (Partito del Nuovo Azerbaijan). Formalmente indipendente, lo schieramento è fedele al Presidente, Ilham Aliyev, in carica ininterrottamente dal 2003, anno in cui ha raccolto l’eredità del padre.

"Modernizzazione autoritaria"

Le elezioni sono state indette lo scorso dicembre, a seguito di una serie di manifestazioni di piazza scatenate dalla crisi economica che attanaglia il Paese da anni. Dopo una serie di rimpasti all’interno del governo, il partito di maggioranza ha deciso di porre fine alla legislatura e il parlamento ha votato quasi all’unanimità il proprio scioglimento. In quell’occasione, il segretario di Yeni, Ali Akhmedov, ha dichiarato che le elezioni contribuiranno a rinnovare il ramo legislativo del Paese e ad accelerare il corso delle riforme economiche. Considerando lo scarso grado di libertà delle elezioni precedenti e la soppressione del dissenso operata dal regime anche in quest’ultima campagna elettorale, le elezioni non dovrebbero cambiare sostanzialmente la leadership e il suo orientamento, configurandosi piuttosto come una forma di "modernizzazione autoritaria".

5,2 milioni di elettori al voto e oltre 1.300 candidati

Il potere esecutivo in Azerbaijan è detenuto dal Presidente, che è eletto per un periodo di 7 anni mediante elezioni dirette. Il capo dello Stato forma il Gabinetto, composto dal primo ministro e dai ministri, e ha diritto di veto sulle decisioni dell’Assemblea Nazionale, che detiene il potere legislativo. I parlamentari vengono eletti (ogni 5 anni in caso di scadenza naturale della legislatura) con un sistema elettorale maggioritario, attraverso un uninominale secco. Alla tornata elettorale, che è la sesta dalla proclamazione dell’Indipendenza, partecipano oltre 1.300 candidati provenienti da circa 20 partiti politici, che proveranno a conquistare uno dei 125 seggi a disposizione. Il Parlamento uscente, figlio di un’elezione durante la quale gli osservatori dell'Osce hanno segnalato numerose irregolarità, è quasi per la totalità composto da membri dello Yeni, o di piccoli partiti che appoggiano la maggioranza.

Inflazione e disoccupazione

L'ex paese sovietico sul Mar Caspio è ricco di petrolio e gas, ma gran parte dei suoi 10 milioni di abitanti non riesce a godere di questa grande ricchezza. Il Paese, infatti, da anni è costretto a fare i conti con una crescita lenta, alti tassi di disoccupazione e significative disuguaglianze. La crisi che sta vivendo l’Azerbaijan ha subito un’accelerata nel 2014, quando il calo del prezzo del petrolio e la contrazione del 50% delle esportazioni hanno costretto il governo a svalutare la moneta nazionale. La misura ha causato un crescente malcontento, che è sfociato in diverse manifestazioni di piazza, le più significative delle quali si sono tenute nell’ottobre del 2019 e che sono state domate con la violenza. A poca distanza da questi avvenimenti, il presidente Aliyev ha deciso di promuovere una serie di riforme nella speranza di rispondere al bisogno di diversificazione dell’economia azera. Piano di rinnovamento che, però, secondo il capo dello Stato, non è attuabile con l’attuale governo.

L’era Aliyev

Ilham Aliyev ricopre l’incarico di presidente dall'ottobre 2003, quando vincendo le elezioni è succeduto al padre Heydar Aliyev. Dopo il primo mandato ha rivinto nel 2008, nel 2013 e nel 2018. Nel mentre è riuscito a far approvare due referendum con i quali ha cancellato il limite presidenziale a due mandati e ha prolungato il periodo della carica da 5 a 7 anni. Nel 2017, inoltre, ha prima istituito il ruolo di vice presidente e poi ha investito dell’incarico la moglie, Mehriban Aliyeva. Anche per queste ragioni la comunità internazionale considera l’Azerbaijan un Paese governato da un regime autoritario.

Soppressione del dissenso

A contribuire a questo tipo di valutazione la discutibile gestione del dissenso che ha contraddistinto in questi decenni le presidenze Aliyev. Le istituzioni hanno più volte impedito alle opposizioni di organizzare manifestazioni e, in diverse occasioni, le forze dell’ordine hanno dato seguito a detenzioni di massa, interrotto il servizio pubblico dei trasporti o chiuso l’accesso a Internet per domare le proteste. Inoltre diversi leader di movimenti in contrasto con il governo sono finiti in carcere. Anche per quanto riguarda le imminenti elezioni, nonostante una buona parte dei 1.300 candidati si sia registrata come "indipendente", le liste non brillano per pluralismo. Alcuni schieramenti, come il The Azerbaijani Popular Front Party (APFP), hanno addirittura rinunciato a partecipare alla tornata, optando per un vero e proprio boicottaggio delle elezioni, considerate una farsa.

Le accuse e gli osservatori

L'Unione europea, compresa l’Italia, è un grande acquirente del gas naturale azero, che per quantità rappresenta l’unica vera alternativa alla Russia per il Vecchio Continente. In ragione di questi rapporti commerciali, Bruxelles si è sempre tenuta alla larga da ingerenze nella politica interna azera. Ciò nonostante, come nelle elezioni precedenti, anche in questa tornata nel Paese saranno presenti numerosi osservatori internazionali. Negli anni passati sono stati registrati diversi casi di voto multiplo e di intimidazione nei confronti dei giornalisti.

Elezioni anche nel Nagorno-Karabakh

Intanto, anche nel Nagorno-Karabakh sono state indette elezioni, che si terranno il prossimo 31 marzo. Questa repubblica a maggioranza armena si è autoproclamata indipendente dall'Azerbaijan nel 1991 e da allora è teatro di uno dei conflitti "congelati" dell'ex Urss. La regione è infatti è al centro di una guerra che si accende ad intermittenza tra Baku e la vicina Armenia, che sostiene la legittimità della repubblica del Nagorno-Karabakh. Dopo diversi conflitti, e più di trentamila morti, nel 1994 è stata siglata una tregua che però è stata violata a più riprese. L'ultima grande escalation, datata aprile 2016, è costata la vita a oltre 200 persone.

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