Brexit, accordo raggiunto. Cosa cambia e cosa succede ora

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Nessun confine in Irlanda, regime misto per l’Iva, assicurazione di un futuro accordo di libero scambio con zero dazi: sono i punti principali dell’intesa tra Ue e Gran Bretagna, che dovrà ora essere ratificata da Westminster. Il voto a favore è tutt’altro che scontato

Dopo mesi di trattative, strappi e scontri, giovedì 17 ottobre è stato raggiunto un accordo sulla Brexit tra il Regno Unito e l’Unione europea. Nessun confine in Irlanda ma controlli sulle merci, il consenso dell'Assemblea dell'Irlanda del Nord sull'applicazione a lungo termine delle leggi Ue, un regime misto per l'Iva, l'assicurazione che le relazioni future saranno basate su un accordo di libero scambio con zero dazi: sono questi i quattro punti chiave dell’intesa, che ora dovrà però passare il vaglio di Westminster. Il parlamento britannico è chiamato sabato mattina a dare il suo ok al divorzio consensuale dall’Ue siglato dal premier Boris Johnson. Un voto che si preannuncia tutt’altro che scontato. (LE TAPPE DELLA BREXIT - FOTO)

I quattro punti dell’accordo: addio backstop

Dal nuovo accordo scompare il contestatissimo “backstop”, ovvero il meccanismo che avrebbe dovuto evitare il risorgere di un confine tra Irlanda del Nord e Irlanda. Con il nuovo Protocollo, l'Irlanda del Nord resta nel territorio doganale britannico (e non europeo), ma resterà allineata ad una serie di regole europee, tra cui quelle fitosanitarie, agroalimentari, sugli aiuti di Stato e le norme su Iva e accise. Quando entreranno dei prodotti provenienti da Paesi terzi, se resteranno nel Regno Unito si applicherà il diritto doganale britannico, se entreranno in Ue le autorità britanniche applicheranno il diritto doganale europeo, facendosi carico dei controlli. (LE PAROLE CHIAVE DELLA BREXIT)

Il consenso di Belfast

Ue e Londra hanno deciso di creare un nuovo meccanismo di "consenso", che darà al Parlamento dell'Irlanda del Nord una voce decisiva nell'applicazione a lungo termine delle leggi europee. Un punto fortemente voluto dall'Irlanda. In pratica, quattro anni dopo la fine del periodo di transizione (2020 ma estendibile di altri due), l'Assemblea può, a maggioranza semplice, dare il suo consenso o meno a proseguire l'applicazione delle leggi Ue. E il voto si ripeterà ogni 4-8 anni, a seconda del sostegno ottenuto.

Iva europea

L'Irlanda del Nord resterà assoggettata al regime britannico ma, per proteggere l'integrità del mercato unico, sulle merci continuerà ad applicare le regole Ue. E resteranno in vigore anche le esenzioni e i tassi ridotti applicati in Irlanda. La dogana britannica sarà incaricata di applicare e riscuotere la tassa sul valore aggiunto.

L’accordo di libero scambio

Come previsto anche prima, il Regno Unito resterà membro dell'unione doganale e del mercato unico per tutto il periodo di transizione, cioè massimo fino al 2022. Nel frattempo sarà negoziato un accordo di libero scambio "senza dazi né quote". Ma Bruxelles ha chiesto in cambio la garanzia che Londra assicuri un terreno di gioco equo, ovvero che non faccia una concorrenza sleale in materia di norme sociali, fiscali e ambientali.

Cosa succede ora

Perché l’accordo entri in vigore e il divorzio tra Ue e Regno Unito avvenga entro i tempi previsti - cioè entro il 31 ottobre 2019 - il Parlamento britannico dovrà votare a favore sabato mattina, con la Camera dei Comuni convocata in seduta straordinaria come avvenuto in passato soltanto in tempi di guerra. Il rischio di un'ennesima bocciatura, dopo le tre inflitte a Theresa May, appare concreto. Servirebbero 320 voti: all'esecutivo ne mancano come minimo una ventina. Rispetto all'era May, l'inquilino attuale di Downing Street (cioè Boris Johnson, ndr) sembra aver ricompattato almeno il suo partito, i conservatori, salvo singole defezioni di dissidenti pro Remain ultrà o di super falchi brexiteer. Per il resto il via libera c'è, sia da parte dei Tory moderati, sia dal grosso degli euroscettici storici della corrente dello European Research Group (Erg). Però il loro supporto non è sufficiente. All'appello mancheranno infatti i 10 del Dup, roccaforte della destra protestante nordirlandese reazionaria, la cui leader, Arlene Foster, ha fatto sapere ieri: ”Non possiamo votare a favore”.

La tentazione di Johnson

A dichiarare guerra all'accordo di Johnson (CHI E' L'UOMO DELLA BREXIT) è stato anche il leader laburista Jeremy Corbyn, che si è detto pronto ad affossare l'intesa e deciso a ridare la parola al popolo. Ma il premier britannico spera di scampare il pericolo facendo votare una mozione in cui chiede ai deputati di votare "o per il deal" raggiunto o per un "no deal". In molti a quel punto potrebbero cedere, per non essere responsabili di una Brexit traumatica, che costerebbe al Paese incalcolabili danni economici e la perdita di migliaia di posti di lavoro.

La possibilità di un ulteriore rinvio

C’è poi lo scontro sulla richiesta d'un ennesimo rinvio dell'uscita dall'Ue, oltre il 31 ottobre. Richiesta imposta sulla carta al Primo ministro (in assenza di accordo ratificato) dal Benn Act, la legge anti-no deal promossa dalle opposizioni. Ma che Johnson giura e spergiura di non voler invocare e che, del resto, i 27 (basterebbe il veto d'un solo leader europeo) potrebbero teoricamente pure negare. Infine, se dovesse arrivare il via libera di Westminster, l'accordo sulla Brexit dovrà poi essere ratificato anche dal Parlamento Europeo e dal Consiglio Europeo per diventare valido a tutti gli effetti.

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