Trump, stop esenzioni per chi acquista petrolio da Iran. Anche Italia nella lista

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La mossa punta "ad azzerare l'export di petrolio iraniano, negando al regime la sua principale fonte di entrate", spiega la Casa Bianca. Vola il prezzo del barile. Telefonata Trump-Conte: "Abbiamo parlato di immigrazione, scambi commerciali e tasse", twitta il tycoon

L'amministrazione americana di Donald Trump impone lo stop totale all'import di petrolio iraniano, annunciando che il 2 maggio prossimo non rinnoverà le esenzioni di 180 giorni concesse ad otto Paesi, tra cui l'Italia, tramite l'Eni che però tiene a precisare di essere già fuori dal Paese e di non aver effettuato importazioni di greggio nel periodo dell'esenzione. Chi non si adegua subirà le sanzioni americane.

Pressing su Teheran

Una mossa che segna una ulteriore escalation della "campagna di massima pressione" contro Teheran dopo l'uscita un anno fa dall'accordo sul nucleare e la recente designazione del corpo dei guardiani della rivoluzione come organizzazione terroristica straniera. Ma che fa schizzare in alto il prezzo del barile di oro nero (più 3 per cento circa, a quasi 66 dollari al barile, vicino ai massimi degli ultimi sei mesi) ed aumentare le tensioni con la Cina e con la Turchia, due degli otto Paesi che avevano ottenuto le esenzioni e tra i maggiori importatori del greggio iraniano.

Telefonata Trump-Conte

E, proprio nel giorno della nuova stretta della Casa Bianca sull'import del petrolio iraniano ha luogo una nuova conversazione telefonica tra Trump e il premier Giuseppe Conte, dopo quella di 5 giorni fa sulla Libia. "Ho parlato con Conte, riguardo all'immigrazione, agli scambi commerciali, le tasse e le economie dei nostri rispettivi paesi. Una telefonata molta positiva", spiega Trump in un tweet senza citare, tuttavia, il dossier sanzioni.

Le reazioni

La decisione della Casa Bianca, intanto, provoca più di qualche mal di pancia. Pechino si oppone "alle sanzioni unilaterali e alla giurisdizione ad ampio raggio", ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri cinese Geng Shuang, per il quale gli accordi siglati di Pechino con Teheran sono "ragionevoli e legittimi". Pechino, che importa circa la metà del suo fabbisogno di greggio, sarà uno degli ostacoli principali per gli Stati Uniti nell'attuazione del blocco alle esportazioni della fonte primaria di reddito iraniana, con possibili contraccolpi nei negoziati commerciali sui dazi.

Anche Ankara, con cui i rapporti sono già tesi, respinge la decisione unilaterale degli Stati Uniti e "le imposizioni su come condurre i rapporti con i propri vicini". Secondo il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu, la decisione di Washington non servirà alla pace ed alla stabilità regionale, nonché danneggerà i cittadini iraniani". La mossa Usa metterà in difficoltà pure l'India, tra i principali importatori di greggio iraniano. Il Giappone e la Corea del nord sono relativamente meno dipendenti dal petrolio di Teheran e hanno cominciato a comprarne meno. In ogni caso Trump tira dritto per la sua strada e tenta di rassicurare i mercati annunciando un coordinamento con Arabia Saudita, Emirati Arabi ed altri Paesi dell'Opec per colmare il vuoto lasciato dal greggio iraniano.

Obiettivo: azzerare l'export di petrolio iraniano

"Abbiamo concordato di prendere azioni al momento giusto per garantire che la domanda globale sia soddisfatta, mentre tutto il petrolio iraniano è rimosso dal mercato", garantisce la Casa Bianca, contando anche sulle previsioni di una domanda inferiore all'offerta nel 2019. La decisione, spiega, "mira ad azzerare l'export di petrolio iraniano, negando al regime la sua principale fonte di entrate". L'Iraq ha già annunciato in modo non ufficiale di essere pronto ad esportare 250 mila barili in più al giorno di petrolio. E gli Stati Uniti ad aumentare la loro produzione, come ha fatto sapere il segretario di stato Mike Pompeo, sottolineando che "l'amministrazione Trump ha portato l'export del petrolio iraniano ai suoi minimi storici": le previsioni  indicano circa 1 milione di barili al giorno di greggio nello scorso marzo, contro i 2,5 milioni dell'aprile 2018, il mese prima che gli Stati Uniti decisero di uscire dall'accordo sul nucleare.

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